Recensione, Thriller

LE PALUDI DELLA MORTE

Titolo OriginaleTexas Killing Fields
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2011
Genere
Durata109'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Texas, due detective contro il serial killer che colpisce nelle paludi. La piccola Anne scompare.

RECENSIONI

 

Di “Mann” nel cast tecnico, a parte “papà” Michael che produce, ce ne sono parecchi: Ami Canaan ha fatto il tirocinio nei serial del padre (Crime Story), per poi esordire con un film indipendente di scarsa eco (Morning, 2001). A dieci anni di distanza ci riprova, nell’abbraccio di una major e contando su interpreti minori ma strepitosi (Stephen Graham in primis) e sulla prima sceneggiatura di Don Ferrarone, ex - agente dell’antidroga che aveva già collaborato con Michael Mann come consulente tecnico e che si ispira ad un vero caso irrisolto. Il punto debole del film sono proprio il raccontare che non possiede il necessario coraggio disperato ed è ingenuo in alcune scelte (connotare fortemente il personaggio di Stephen Graham e concentrarsi oltremodo sulla figura della bimba: telefonato che le accadrà qualcosa) e il racconto che resuscita troppi morti (dopo aver urlato che lo sono) per chiudere con una sorta di lieto fine artificioso. Ci sarebbe qualcosa da obiettare anche sull’illogicità di due detective che entrano in zona pericolo sempre da soli. A parte ciò, il cinema di Ami Canaan Mann, per quanto fortemente debitore di quello del padre, è pregevole: dal primo dolly circolare che avviluppa il rappresentato come una palude, cullandosi con le note soft di una chitarra elettrica texana, alla drammaturgia appoggiata su di un montaggio non lineare, ricco di paralleli ed ellissi che spezzano e forniscono solo gli indizi necessari, fino allo sfruttamento perfetto della location paludosa (umori umani compresi), con una fotografia coloro fango che crea l’atmosfera giusta. Tipico di Michael Mann anche lo studio dei caratteri (i due detective) antitetici, ma non altrettanto riuscita, come nel cinema del padre, la sottotraccia allegorica (nelle paludi della morte non c’è il dio del detective Brian Heigh) che Ami Canaan accenna quando Michael avrebbe portato a galla e sviscerato.

Al secondo lungometraggio per il grande schermo, dieci anni dopo Morning del 2001, Ami Canaan Mann firma un serial killer movie ambientale all’insegna della divagazione. La figlia di Michael Mann si applica alla sceneggiatura di Don Ferrarone, ispirata a fatti realmente accaduti a fine anni Sessanta, per ricostruire le paludi del Texas in Louisiana: A pochi chilometri dalla città, questi posti sono come una casa infestata: un luogo inquietante a due passi da ciò che ci è famigliare. Così, sfruttando come location una foresta rovinata dall’innalzamento del livello del mare, Texas Killing Fields si iscrive su uno sfondo di terreni melmosi, alberi scheletrici e rami secchi. Stagnante. Un quadro naturale che si riflette anche nell’organizzazione sociale della periferia texana: i rapporti umani risultano sfilacciati (chi ci ha provato ha fallito, vedi il divorzio dell’agente Souder), le donne sono poliziotti o prostitute, l’adolescenza non viene rispettata, la comunità nera è sfruttata come copertura criminale. In questo affresco la presenza del serial killer sembra inevitabile, nell’ordine delle cose, tra l’altro già sviluppata prima degli eventi mostrati (il film non si apre certo col primo delitto); l’omicidio seriale come conseguenza normale della devastata condizione di partenza.

Mike Souder (Sam Worthington) è il poliziotto texano titolare dell’indagine; se da una parte tende a identificarsi col lavoro, privatamente egli è segnato dalla separazione con l’agente Pam Stall (Jessica Chastain): le circostanze si riflettono tra loro, soprattutto quando sono sullo stesso caso, e ricadono anche su Brian Heigh (Jeffrey Dean Morgan), il detective inviato da New York per collaborare. Tra dispute sui rispettivi ruoli e abilità (il texano è il territorio / il newyorkese le tecniche di indagine) e impliciti disturbi sentimentali, i tre incrociano la strada della piccola Anne (Chloë Grace Moretz), quattordicenne costretta alla strada dalla madre prostituta, precocemente sfiduciata (- Dio non ha tempo per i poveracci come noi). Come si vede, non è dunque la caccia all’uomo il centro di uno spartito che si dirama in più direzioni: anzi, nell’esposizione dei drammatici problemi dei singoli, l’assassino non è soltanto esterno ma diventa una sorta di serial killer interiore, una mano sconosciuta che colpisce anche gli animi dei personaggi (e nell’ampliamento del concetto di SK, la sua entrata nella sfera personale, l’opera sfiora le corde di Zodiac). Esaurite le digressioni, comunque, si torna sempre al punto principale: e dopo la soluzione si intravede per queste figure un futuro meno cupo, il killer viene fermato e anche il male più intimo sembra gradualmente svanire.

Nel girare un soggetto complesso, Ami Mann dimostra singolare attenzione per i dettagli (il volo di uno stormo di uccelli neri, il frusciare dei rami al vento) e una certa solidità complessiva; come rovescio, in questo film che usa l’intreccio per arrivare al contesto, spesso si affaccia l’ombra dello stereotipo e del thriller più meccanico. Allora il punto chiave della pellicola, la minorità del mistero in sé, penalizza la semplice ma necessaria riuscita del film: come nelle indagini procedurali e negli inseguimenti di prammatica, come nella sequenza della morte apparente di Heigh risolta con uno “scorretto” omissis nel montaggio (il personaggio è ferito ma vivo). Insomma la mancanza di originalità nello svolgimento a tratti rischia di intaccare la valida idea di partenza, supportata da interpretazioni archetipiche (l'investigatore, la prostituta, la bambina...) e di mestiere, dove spicca la parte minore della grande Sheryl Lee. La regista si riscatta nella ripresa del pre-finale: il detective osserva la resa dei conti interna al microcosmo criminale senza intervenire, limitandosi a guardare, assumendo la posizione di spettatore. Un punto di vista passivo che conferma il disinteresse per la trama e la centralità dell’ambiente, elevandoli al cubo.