Commedia, Recensione

I COLORI DELLA VITTORIA

Titolo OriginalePrimary colors
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1998
Genere
Durata143’

TRAMA

Militante per i diritti civili della gente di colore, Henry crede nel governatore democratico Jack Stanton, candidato alle presidenziali.

RECENSIONI

Sono lontani i tempi de Il Candidato con Robert Redford, de Il Cavaliere della Valle Solitaria (passa in Tv), degli acclamati esordi teatrali di Mike Nichols, quando univa in modo impeccabile la commedia brillante/accattivante con la riflessione amara sulla realtà sociale americana. Il regista, da Piume di Struzzo, s'è riunito alla compagna di gioventù Elaine May (sceneggiatrice) senza ritrovar(n)e lo smalto, perduto nei rivoli di produzioni più furbe che sincere. Le sue opere migliori fanno sprofondare nell'amarezza (Chi ha Paura di Virginia Woolf?), osano (Il Laureato), s'indignano (Silkwood) senza perdere il contatto con il "popolo" affamato di divi e meccanismi commerciali. Questo "Colori primari" (o delle Primarie), allora, potrebbe essere un testamento spirituale che, con poca coerenza, fa i conti con l'idealismo del passato e accetta il compromesso necessario della maturità. Ad essere rappresentati non sono Hilary e Bob Clinton con tanto di “Sexgate” presagito (è tratto dal libro "anonimo" di Joe Klein, assistente del futuro Presidente nel 1992), ma proprio Elaine May e Mike Nichols, coppia di satiri feroci che ha smesso la rabbia e prende atto dell'invincibilità dei "Cinghiali che ti caricano nel bosco mentre stai cagando" (la buffa "allegoria" illustrata dal personaggio di Thornton). Il film soffre della poca convinzione con cui i due autori abbracciano la nuova, disillusa causa e la riflettono nel personaggio sbiadito e spaesato di Henry/Adrian Lester. Non è un caso che il cuore dell’opera riprenda a battere alla presenza dell'inguaribile utopista di Kathy Bates, scomodo ma vitale fantasma del passato che scuote il torpore delle ideologie interlocutorie. Nichols e May, a sorpresa, lo seppelliscono e invitano gli ultimi sognatori a giocare sporco per vincere e fare la Storia (politica e di coppia): non fanno che mostrarci l'ipocrisia di questo neo-Kennedy/Clinton e pretendono che ci identifichiamo con il buonista che crede in lui ciecamente. Lo iato fra ideali latenti e manifesti lascia gli autori senza bersaglio, dopo due ore e mezza di una futile partita amichevole.