Commedia, Horror

DARK SHADOWS

NazioneUSA
Anno Produzione2011
Durata120'
Tratto dadalla serie omonima
Fotografia

TRAMA

Il vampiro Barnabas Collins si libera dalle catene della sua prigionia. Peccato siano passati ben 200 anni…

RECENSIONI

E' palese che in questo film siano gli anni 70 a funzionare da cornice weird, incastonati dentro un universo gothic-pop che a furia di essere riproposto meccanicamente prende le sembianze di un Burtonismo paradossalmente quasi derivativo da se stesso.
Dark Shadows trova affinità con il recente Sweeney Todd, perchè sanguinolento, sarcastico fino al parossismo, privo di anima, ma che pure nel presunto vitalismo delle gag e nella struttura da soap opera nasconde un evidente disagio di fondo.
Barnabas Collins è forse il personaggio Burtoniano più fuori contesto nel film, una maschera di genere che sceglie il conformismo per abbracciare un ideale di altri tempi. Il protagonista è vestito letteralmente da Lord ottocentesco (oltre ad essere un vampiro) e, catapultato nei seventies, si illude ancora di appartenere ad una certa scala di valori (degno riflesso del Cinema dell'autore stesso). E non è un caso che il tentativo di ripristinare  l’antico splendore della famiglia (il restauro della villa e la riapertura dell'azienda) sia destinato a franare irrimediabilmente.
Il violento emergere del gotico è il terreno di conflitto nel quale si riversa tutta la problematicità e la forza motrice degli anni 70, ma è un’eco che Dark Shadows non sbandiera mai palesemente e nel film si preferisce delineare un non-luogo (la città di Collinwood): il manifesto di ciò è senza dubbio la sequenza finale alla Haunted House, dove tutta la collezione di macchiette generazionali si toglie la maschera mostrando la propria disfunzionalità.
Ecco come la controcultura e il cambiamento dei tempi vedano nel buio anfratto dell'orrorifico la propria messa in scena, opera magica di un'Angelique che racchiude tutte le dinamiche del nuovo (sociali, economiche, sentimentali ed estetiche).
Barnabas veste i panni di comico per quanto di più misero ci possa essere, comicità che scaturisce quando entra in contatto con elementi, icone esplicitate, dell'attuale società in cui viviamo  (come la M di McDonald/Mefistofele, la TV, la Chevrolet, etc). Tutto questo è materiale commestibile ma che decentra il vero cuore dell'opera, lo stesso cuore che Eva Green cercherà di donare al suo eterno amore.
Dark Shadows porta avanti ulteriormente il malessere di un regista sempre in bilico tra l'incontaminata autonomia del proprio mondo interiore e la sua assimilazione pop, di fabbrica, si avverte un senso di appartenenza sempre più forte, cercando, nell'accettazione di se stesso e del suo feticcio Barnabas, una propria posizione.
Inoltre, ipnotizzare Christopher Lee non ha più senso essendo impossibile un ritorno all'origine. L'unica possibilità rimasta è quella di integrare l'immaginario senza rinnegare la propria natura, utilizzandola per sancire il proprio degno cambiamento: un bacio rivoluzionario.

Il Tim Burton migliore: gotico, horror, camp, freak, tremendamente romantico e al contempo buffonesco. Con l’attore feticcio Johnny Depp (anche produttore), la musa Helena Bonham-Carter e il suo universo di vampiri, licantropi, cuori infranti e macchiette. La trasposizione su grande schermo della fortunata (in America) serie televisiva “Dark shadows” (1966 - 1971) del mitico Dan Curtis non è, come molti hanno scritto, solo un pretesto: il racconto ricalca l’originale, persino la sua prima versione cinematografica, La Casa dei Vampiri (1970), riprendendone un protagonista nobile e spietato, con l’idea indovinata di farlo resuscitare non nel presente ma nell’anno di 1972: Dracula Colpisce Ancora (con cui condivide la ridicolizzazione degli hippy, previo cameo di Alice Cooper). Burton irrora tutto con la sua ironia, il suo gusto scenografico (magnifica Collinwood Mansion), le sue fiabe orrifiche tanto esasperate da diventare buffe, la sua idea live action di un cartoon che, in Alice in Wonderland, ha visto l’apoteosi deleteria delle tecniche da photoshop (qui riservate a qualche ritocco per effetti gotici e al volto degli attori). Continua a far comunicare I Vivi e i Morti, a sposare il “dark” come categoria esistenziale e pop(olare) che salvi anche i villain del caso (la strega di una conturbante Eva Green: impossibile non amarla, essendo mossa da una smodata passione, più forte di quella in essere con il carattere di Bella Heathcote, comunque capace, nel finale, di mostrare il proprio amore in una scena “forte” e/ma risolta sbrigativamente). Girando nei Pinewood Studios inglesi, ingaggiando Christopher Lee, l’omaggio alla Hammer è totale, anche perché lo stesso Dan Curtis tentava di trasportare quel gusto britannico nel Maine. Da antologia la scena di sesso distruttiva e in assenza di gravità fra il vampiro e la strega.