TRAMA
Nel 1970, in un albergo, un padre di famiglia uccise i figli e altre nove persone. Il film “Memorie” reinscena quel fatto di cronaca, di cui l’attrice Nagisa Sugiura e una studentessa hanno anomale reminiscenze in cui vedono il fantasma di una bambina con bambola.
RECENSIONI
Dopo i vari Ju-On, Shimizu firma il terzo capitolo della serie “J-horror theater” prodotta da Takashige Ichise, con un soggetto che tratta ancora spiriti (e bambini) inquieti e sposta il set da un appartamento all’albergo di Shining (citato/copiato anche nel segno della palla), elaborando (complicando) la struttura a flashback e incastri, che ha il suo zenit verso il finale, con un notevole parallelo fra quattro/cinque punti di vista dell’evento che si (con)fondono (il set che inscena gli omicidi, il filmino girato dall’assassino, il ricordo dell’attrice che mischia rappresentazione e realtà, i fantasmi che rivivono la propria morte a beneficio della studentessa. Fuori soggettive, infine, il giornaliero del girato). Di paura, però, poca: è più un’operazione cerebrale che di pancia, con il labirinto drammaturgico al posto dello studio del terrore. Il solito gioco metafilmico, in realtà, manipola la poca sostanza in cui, da un lato, c’è lo “spirito” di vendetta con tutte le sue apparizioni (le migliori: i volti nella foresta, la bimba che finisce sotto il treno, le bocche deformate dallo spioncino della porta), dall’altro la reincarnazione disquisita e dibattuta (spesso) in modo forzato, che confonde (troppo) anime in pena e rinate e che permette colpi di scena su chi-è-chi non sempre corretti per indizi sparsi. Complici anche alcune scene più ridicole che inquietanti (i fantasmi-zombi barcollanti nell’albergo, La Bambola Assassina animata a passo uno che dice “Per sempre insieme”), la visione contempla uno schema tanto elaborato quanto poco sorprendente, mediamente appagata dal progetto con intrusione di (un) Tempo e (uno) Spazio impazziti nel Presente, dal ri-allestimento dell’evento (già avvenuto e già filmato) a più…riprese. Per rendere l’opera più “malata” e disturbante, Shimizu avrebbe potuto esplorare la lucida follia dell’assassino che, scopriremo, è un altro “regista” dedito alla sperimentazione (per capire dove finiscono i ricordi dei morti): ma si identifica con il regista del film nel film, che vuole spegnere la sete di vendetta delle vittime rendendole protagoniste.