TRAMA
Una giovane coppia di Pordenone si divide: lui va a letto con una prostituta, lei con un attore famoso. Un padre fa fare un provino al futuro suocero con voce operistica. Uno studente d’Architettura s’innamora della migliore amica della fidanzata. Un impiegato diventa famoso e non sa perché.
RECENSIONI
Come parlare del nuovo film di Woody Allen? Come riflettere su un cinema che s'ingolfa sempre più nella ripetizione di se stesso, macchina iterativa e autoreferenziale, prima ancora che sorpassata o deliberatamente fuori moda? Cinema decrepito, morto e sepolto, e difatti la critica ufficiale si è espressa quasi unanime con toni e contenuti da elogio funebre, celebrando le virtù di un defunto al quale non si sono risparmiate, in vita, osservazioni anche feroci. Ottimo esempio è la recensione apparsa su 'Il messaggero' a firma di Goffredo Fofi, storico e implacabile censore dell'Allen anni Settanta e Ottanta, oggi cantore della sensibilità e intelligenza con cui il regista newyorkese avrebbe celebrato le bellezze della Roma moderna. Una Roma bella, pulita e ideale che, come la Manhattan di tanti film, non esiste se non nella fantasia di Allen, ma che il regista non riesce a esplorare con l'affetto sincero e la lucidità implacabile che gli sono (erano) propri, limitandosi in questo To Rome with Love a buttar giù di malagrazia una cartolina, o una dedica, standardizzata e povera nella forma e nel contenuto.Il contenitore è, al solito, tirato a lucido e il cast 'stellare' (anche se le 'stelle', almeno quelle over 40, sono tramontate da almeno un decennio e la giovane generazione, con la sola eccezione di Jesse Eisenberg, stenta a decollare: i produttori, l'occhio al budget, ringraziano), la messinscena sciatta e prevedibile, risolvendosi in una sequela di sketch in cui vengono ammanniti i piani sequenza di prammatica e qualche raro movimento di macchina (il carrello circolare con panoramica su Piazza del Popolo) assolutamente strumentale all'esibizione del set, sola ragion d'essere di un film diretto a un target specifico, quello dei turisti nordamericani di mezza età con una discreta disponibilità economica e qualche ricordo scolastico (gli appuntamenti con la romanità classica e barocca ci sono tutti, mancando solo l'Eur, rimpiazzato dall'Auditorium di Renzo Piano - due dei personaggi, ovvio, sono architetti).
Per il resto viene esibito il consueto catalogo: i doppi simbolico-psicanalitici (Baldwin-Eisenberg, con il primo a fare da guru ipotetico del giovane, che è ovviamente l'ennesima declinazione twentysomething del personaggio 'alla Woody Allen', dal Jason Biggs di Anything Else all'Owen Wilson di Midnight in Paris), le citazioni da opere proprie (il temporale, che svolge funzione analoga a quelli di Manhattan e Settembre, o meglio la svolgerebbe, se il regista si fosse degnato di riservare alla scena un dialogo un po' meno imbarazzante e involuto) e altrui (Lo sceicco bianco e "Baciami, stupido", nientemeno), l'interpellazione diretta (ridotta a mezzuccio da sfruttare in fretta a mero scopo narrativo, per poi riemergere nel finale, a minacciare un ipotetico sequel), il tono ostentatamente rétro (la coppia di provincia, sbarcata da una commediola degli anni Sessanta, più che da Pordenone). 'È un sogno', ripetono (troppo) spesso i personaggi, ma siamo lontani dall'irrealtà onirica di Stardust Memories come da quella sublimata di Radio Days o La rosa purpurea del Cairo: piuttosto, il film ricorda certi opuscoli turistici, troppo immacolati per non risultare posticci. E quella della grandezza dell'architettura classica, simbolo della Storia in cui si perdono le piccole, insignificanti storie dei personaggi, è solo l'ennesimo spunto esposto in vetrina, ma in nessun modo esplorato o condotto alle estreme conseguenze. Quello che davvero colpisce, nel trito girotondo di macchiette, luoghi comuni e scopiazzature varie (l'episodio con Benigni proviene direttamente da Celebrity, che però era, almeno a livello di scrittura, infinitamente più vitale e sfaccettato di questa mesta antologia di scenette), e più in generale in questo cinema sempre più sgonfio, ormai privo di qualunque urgenza (malgrado il ritmo, al solito frenetico, della produzione), in irreversibile deficit di humour e finezza, è la crudeltà con cui Allen impietosamente si mette in scena, presentandosi di volta in volta come artista superato (il pensionato di To Rome with Love, il regista cieco di Hollywood Ending), 'pesce piccolo' ottuso e inconcludente (Criminali da strapazzo), individuo perennemente inadeguato e in quanto tale ridicolo (Scoop). Forse è proprio questa la recensione più dura; di certo, la meno edulcorata dal rispetto (sempre nobile, quando non induca alla disonestà intellettuale) e dalla memoria (di soli ricordi non si può vivere, perché i ricordi 'non raccontano tutta la storia' - Mariti e mogli docet).
Dopo Parigi e Barcellona, il tour europeo di Woody Allen giunge a Roma e il suo cinema cambia volto: “Volare” di Domenico Modugno al posto dei consueti motivetti jazzistici, una prepotente struttura ad episodi, voli di fantasia anche arditi. Non tutto è riuscito, ma spira una brezza inedita rispetto all’Allen circoscritto, con due o tre varianti reiterate in alternanza: una specie di ‘mosca bianca’, esaltante quanto imbarazzante, felice nel momento in cui il folletto newyorchese s’è lasciato ispirare dal cinema nostrano degli anni d’oro, non tanto l’amato Fellini quanto il De Sica da esportazione, quello di Matrimonio all’Italiana (Penélope Cruz come Sophia Loren), quello fantastico-zavattiniano, ma anche il Decamerone e Ieri, Oggi e Domani per la struttura ad episodi, con tanto di musichetta sbarazzina anni settanta. Quattro episodi che avvelenano, come l’autore ama, i concetti d’Amore e Successo con spietatezza inusitata e con potenzialità che, seppure mai sfruttate a pieno, restano una piacevole sorpresa. L’episodio più sofisticato è quello con Jesse Eisenberg, che si specchia in un Alec Baldwin sé-adulto o alter ego angelo custode: il personaggio di quest’ultimo demolisce le dinamiche giovanili di seduzione e cerca di mettere in guardia il giovane, sfoderando massime che sono degne del miglior Allen. Quello più scioccamente e felicemente sognante è l’episodio con Allen che fa esibire nel box di una doccia il futuro suocero davanti al mondo (Dolce e Gabbana compresi): fa parte dell’Allen divertente, assurdo, con psicanalisi e idiosincrasie sulla morte. Quello costruito su Roberto Benigni è feroce sul tema della celebrità ma, da un lato, non sa sfruttare la carica anarchica del comico toscano e, dall’altro, non sa governarlo quando è a briglia sciolta. Il più indecifrabile, perché poco alleniano, è l’episodio con i due giovani ingenui, sorta di affettuoso trattato edificante su come far funzionare la coppia e il sesso: con un pizzico di commedia degli equivoci, che funziona con Cruz e meno con i partner della moglie, prende spunto da Lo Sceicco Bianco ma alberga maggiormente nel neorealismo rosa, zona I Sogni nel Cassetto.