Grottesco, IWONDERFULL

DO NOT EXPECT TOO MUCH FROM THE END OF THE WORLD

Titolo OriginaleNu astepta prea mult de la sfârsitul lumii
NazioneRomania, Croazia, Francia, Lussemburgo
Anno Produzione2023
Genere
Durata163'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Il film è suddiviso in due parti. Nella prima parte, la giovane Angela guida per Bucarest per filmare un video sulla sicurezza sul lavoro commissionatole da una multinazionale, intervistando vari operai che, rimasti menomati, sperano di ricevere il premio in denaro destinato alla persona giudicata più adatta come portavoce della campagna di sensibilizzazione. La giornata di Angela è inframmezzata da scene tratte da un film rumeno del 1981 su di una tassista bucarestina (Angela merge mai departe, di Lucian Bratu), messe in contrapposizione con le esperienze della sua omonima del 2023, e dai video-sfogo che la ragazza pubblica su TikTok nei quali veste i panni del suo alias Bobiță, con le fattezze modificate da un filtro. La seconda parte del film consiste nelle riprese vere e proprie del video sulla sicurezza sul lavoro.

RECENSIONI

Nessun cineasta, oggi, è più sopravvalutato di Radu Jude. I suoi sono film che non hanno nulla da offrire a parte l’impressione di sentirsi intelligenti, in virtù di qualche banalità contenutistica buttata là in modo grezzo, senza lavorio formale e dunque senza ambiguità (le due cose sono naturalmente collegate), ma che puntualmente corrispondente a quella che oggi passa per coscienza critica mainstream.
Non sorprende affatto, dunque, che Do not Expect Too Much from the End of the World sembri una specie di versione filmata di alcune tra le pagine meno ispirate di un Mark Fisher o di un Byung Chul-Han qualsiasi. È alla sociologia spicciola, e solo a quella, che fa pensare questa giornata-tipo di una donna che di mestiere in pratica “fa cose e vede gente” nell’audiovisivo (una piccola casa di produzione che fa video per la sicurezza sul lavoro), con tutto il funesto corollario a cui tutti noi siamo più o meno abituati, direttamente o meno: precariato cronico, bassi salari, lavoro spezzettato in un’infinità di compiti piccoli e sempre più insignificanti, mobilità obbligata ai confini dello stress, mancanza di sonno ormai strutturale eccetera eccetera. Di tutto ciò la donna in questione è pienamente cosciente, e la sua coscienza critica (dalle fondamenta invero teoriche anche solide) viene poi vomitata in dirette online nelle quali, in qualità di influencer, compare con un volto reso irriconoscibile dai filtri.
Jude sceglie, poi, di alternare questa giornata-tipo alle immagini di un film rumeno degli anni Ottanta (Angela merge mai departe, Lucian Bratu, 1981), che mostrava un’altra giornata-tipo, quella di una tassista in una Bucarest la cui fauna umana già lasciava non poco a desiderare. Naturalmente, quelle immagini sembrano venire da un altro pianeta: i colori nitidi e pastosi, il suono idilliacamente ovattato della celluloide di quarant’anni fa, offrono una sensazione singolarmente paradisiaca: la sensazione, fortissima, è che davvero si stava meglio quando si stava peggio. Del resto il termine “Ostalgie”, che originariamente designava la nostalgia per la Germania Est, è ormai non solo passato in uso comune, ma anche esteso fino ad includere l’ex blocco sovietico est-europeo in generale.
In effetti, le condizioni di vita e lavoro della tassista sembrano infinitamente meno invivibili di quelle di adesso, e se è legittimo avanzare riserve sulla loro eventuale edulcorazione negli anni di Ceaușescu, è ancora più legittimo chiedersi: davvero oggi la propaganda non c’è? Se ci immaginiamo un ipotetico spettatore del 2065 (o oltre) che si guarda Do not Expect Too Much from the End of the World col senno del poi, facile che costui rimanga perplesso dalla diffusa sensazione di godimento spalmata su una vita che si sa invivibile. Il film è una commedia e i personaggi, a cominciare dalla protagonista, vivono una vita di merda spassandola tutto sommato alla grande: ciò a cui insomma si assiste non è solo uno specchio rivolto verso le nostre vite affinché noi possiamo identificarcisi, ma anche una specie di ostalgie in diretta, senza décalage temporale, direttamente nel nostro presente. E il nostro ipotetico spettatore futuro concluderà che sì, anche nel 2025 la propaganda c’era, ma nessuno la imponeva: piuttosto, i poveracci di allora la propaganda se la creavano ed interiorizzavano da soli per tirare avanti.
In questa ambiguità risiede l’unico eventuale, piccolo valore e motivo di interesse del film, da salutare con favore rispetto alla mediocrità del resto della filmografia del rumeno. Il problema è che nel complesso il film rinuncia a valorizzare questa componente, individuando anzi per esorcizzarla una forma esterna di propaganda: il video aziendale, come forma contemporanea di propaganda afferente al vero potere di oggi, che è transnazionale e senza volto. L’interminabile piano-sequenza che quasi tutti i film rumeni da esportazione da anni si sentono in dovere di girare consiste, qui, nella realizzazione di un breve film aziendale le cui riprese vengono costantemente interrotte (gli attori non sono certo professionisti, ma lavoratori che hanno subito un infortunio) e rilanciate; tutto Do not Expect Too Much from the End of the World, in fondo, si lascia definire da questo incessante aprire uno scarto critico verso la propaganda liquida in cui sguazziamo, senza però sufficiente attenzione a come questo scarto, altrettanto incessantemente, si richiude con noi dentro.