
TRAMA
Negli anni ottanta, gli adolescenti Jackie e Clotaire vivono un turbolenta e appassionata storia d’amore nonostante le loro differenze di classe e d’indole. Uscito di prigione dopo avere scontato 12 anni per un crimine che non ha commesso, Clotaire cerca disperatamente di ricongiungersi con Jackie, ma lei ormai si è sposata e sembra aver voltato per sempre le spalle al loro passato insieme.
RECENSIONI
Clotaire e Jackie, due giovani che si muovono su fronti esistenziali opposti, sono agiti da un'attrazione reciproca, una passione incontenibile, l’amour fou bretoniano (ouf in verlan, il gergo delle periferie, ormai pienamente integrato nel parlato), un sentimento più forte di qualunque cosa: della vita fuorilegge di lui, delle scelte sbagliate di entrambi, di una separazione di anni e dell’ingiustizia che l’ha determinata. L’inizio è (sarebbe) la fine: Clotaire, al presente, muore durante un raid criminale ed è impossibile dimenticarsene quando il nastro si riavvolge e cominciamo a conoscere la sua storia tormentata, segnata dal primo incontro con Jackie da ragazzini. Questo delle origini dell’idillio non è un semplice preambolo, è il fulcro emotivo che costruisce il destino dei protagonisti, è il primo sostanziale blocco di un film bipartito (prima ora adolescenza; seconda ora giovinezza), un mèlo fiammeggiante, spinto all’eccesso nelle forme - barocche, orgogliosamente pop -, un film selvaggio nel cuore marchiato a fuoco dai volti quasi fumettistici dei protagonisti: il sembiante sempre ferito di lui, il broncio ribelle di lei. Lellouche, da questo punto di vista, è trasparente: attentissimo alla superficie, viaggia in bilico tra estetica postmoderna (con il corredo di stilizzata ultraviolenza), iconografie ingombranti, simbolismo elementare, dispendio di corpi attoriali riconoscibili (ogni ruolo di rilievo), retrogusto kitsch (sentimentalismo + pacchianeria = sublime).
Il film, mescolando i generi, resta aperto alla divagazione (con flashback anche istantanei: le circostanze della morte della madre di Jackie), ondeggiando tra squarci da videoclip anni 80 (il ballo immaginario: l’incontro di due anime), tormentoni visivi (e verbali), un soundtrack tra i più malandrini ascoltati di recente (si va da Eyes Without a Face di Billy Idol a Child in Time dei Deep Purple), un’enfasi visiva senza requie che conferisce forza e verità (cinematografica) alla passione che i due protagonisti vivono sullo schermo, un fuoco che arde nel motore del film, in parallelo a quello dell’industria metallurgica di Dunkerque in cui la storia è ambientata. Un true romance che oscilla tra Gioventù bruciata e Titanic (la locomotiva come la prua della nave), tra presente e passato (la cassetta ritrovata, quella che Clotaire aveva registrato per Jackie: gli anni 80 risuonano e fanno uscire la donna dalla gabbia borghese nella quale ha rinchiuso la sua anima), tra apoteosi e tragedia. Perché il film vive due volte: se nel flashforward iniziale Clotaire non risponde a Jackie che gli telefona, una volta che il film arriva naturalmente a quel punto, come se avesse dato al personaggio di finzione la possibilità di riflettere sul destino e le sue trappole, il giovane risponde alla seconda chiamata - da quella cabina telefonica che così tanto ha segnato la loro storia - e salva la sua vita. Il suo amore. L’happy end.
