TRAMA
Il cacciatore Joe Bass è derubato delle pelli: prima dagli indiani che le scambiano con uno schiavo di colore, poi da una banda di bianchi predatori di scalpi.
RECENSIONI
Come molte opere di Pollack, è un western che conserva un forte stampo tradizionale, valicato da qualche spregiudicata anomalia: poca cosa se si pensa che l’autore, dopo soli quattro anni, sovvertirà il cinema di frontiera moderno con lo struggente e anticonformista Corvo Rosso non Avrai il mio Scalpo che, parimenti, ruoterà attorno al commercio di pellicce (leggi: il vil denaro). Nonostante faccia respirare un teso brano di "caccia spietata", l'aria è generalmente scanzonata e farsesca, con passaggi di pura comicità, a volte azzeccati (il cavallo che risponde al fischio), altre risibili (l'inganno attraverso l'astrologia, i colloqui con se stesso o l’animale). Il motivo di maggior interesse sta nell'apologo antirazzista, nel momento in cui, per esibirne le affinità (più nelle azioni malvagie che nel bene), l’intreccio opera una sorta di continua inversione degli stereotipi di ruolo delle etnie rappresentate (bianchi, pellerossa, neri), rimarcandone le interdipendenze: Ossie Davis è uno schiavo di colore colto e delicato cresciuto fra i Comanche; Lancaster/Joe Bass un bianco rozzo, ignorante e razzista che conosce i trucchi dei pellerossa; i cacciatori di scalpi non sono indiani ma visipallidi capeggiati dal pelato (! Buffa trovata) Telly Savalas; gli indiani sono ladri ma gentiluomini. Per la prostituta Shelley Winters tutti questi uomini s'assomigliano: bevitori di whisky, amanti delle belle donne, canaglie che conoscono il rispetto solo nel confronto virile. Leone di Hollywood, Burt Lancaster (spesso in coppia con il compagno d'acrobazie Nick Cravat) ha sempre una presenza scenica possente, e (curioso) digrigna i denti proprio come farà il futuro attore feticcio di Pollack, Robert Redford.
