TRAMA
Don Birman, scrittore newyorkese che si sente un fallito, diventa alcolista. A niente valgono gli sforzi della fidanzata e di suo fratello per riportarlo sulla retta via.
RECENSIONI
Capolavoro di Wilder, appartenente ad una fase della sua carriera (come la splendida sceneggiatura di La Porta d’Oro di Mitchell Leisen) in cui non dissimulava il proprio cinismo e il ricorrente tema della frustrazione nell’ironia tagliente, più Stroheim che Lubitsch, (anche, ancora, sempre) spietatamente tragico, realistico (pare si sia ispirato al Raymond Chandler con cui lavorò in La Fiamma del Peccato), ardito nella scelta dei soggetti (ma nel romanzo di Charles R. Jackson il motore della disperazione era una relazione omosessuale) e attento alla realtà sociale (a Berlino Wilder era cronista sportivo e giudiziario). Non per niente l’opera si apre e chiude con un panorama sulla giungla d’asfalto, quella che rigurgita esseri travagliati ed impauriti, facile preda paranoica del demone dell’alcol. A fare la differenza, è lo sguardo: quello senza facili moralismi e pregiudizi che, nel partito preso, non sono mai in grado di spiegare e descrivere; quello che si affida ad un colto, sagace, (onni)comprensivo piglio letterario per mostrare le bassezze cui spinge la bottiglia, gli incubi che elargisce, il circolo vizioso che crea, l’amore e le giornate che fa perdere per sempre; quello che sa cosa mostrare all’occhio della macchina da presa, dove ogni dettaglio contribuisce a donare vigore e profondità immane al racconto: ad esempio, lo sguardo indignato della folla che (s)grida con gli occhi (simbolo del terrore del protagonista di essere considerato un inetto) o la rosa lasciata nella borsetta (che testimonia la creativa nobiltà d'animo anche durante un gesto disperato); quello figurativo, potente ed espressionista, inconsueto per Hollywood nella violenta e pessimistica poesia, meraviglioso in quanto sobrio (cioè necessario), non fine a se stesso: le visioni (le ballerine che si trasformano in cappotti; il topo e il pipistrello), l’ombra della bottiglia sul soffitto, lo zoom dopo il primissimo piano sul whisky, la sequenza nel manicomio. Oscar al film, al regista e a Ray Milland.