Drammatico, Recensione

THE INFORMANT

NazioneIrlanda
Anno Produzione1997
Durata109’

TRAMA

Belfast, 1983: costretto dall’Ira a compiere un attentato, Gingy viene arrestato dagli inglesi e accetta di denunciare i compagni.

RECENSIONI

Il circolo vizioso della violenza, dell'odio, della vendetta, della paura, dell'arroganza. In guerra è difficile discernere il Bene dal Male, la vigliaccheria dal coraggio. Jim McBride e il romanziere/regista Nicholas Meyer (sceneggiatore e produttore esecutivo) fanno di questo assioma la cifra stilistica ed etica dominante, generando un disordine che, da un lato, è audace e (perché) emblematico, dall'altro tradisce una certa approssimazione e ambiguità di fondo. L'Ira è equiparata ad un'associazione mafiosa spietata, la polizia della controparte (nella persona di Timothy Dalton) rappresenta il cinismo sommario di chi l'orrore della guerra l'ha iscritto nei propri geni. In mezzo stanno due soldati, due strumenti loro malgrado di una follia collettiva, di una cultura da faida talmente radicata da compromettere valori più alti come i legami di sangue, gli affetti familiari, la dignità umana (la madre tradisce la figlia che tradisce il marito; i bambini giocano solo alla guerra). Il legame d'amicizia fra i due protagonisti (poco credibile all'evidenza dei fotogrammi) è un facile mezzo per sponsorizzare la convivenza pacifica, per sfogare le controversie in una partita di calcio piuttosto che con il sangue. L'irlandese è un proletario impaurito, senza più punti di riferimento; l'inglese proviene dalla borghesia e veicola un idealismo ingenuo. Entrambi soffocano senza via d'uscita, come il "Sì" (o il "No") strozzato nella gola dell'informatore nell'inquadratura finale al processo. McBride sposa il cinema realistico di denuncia alla Jim Sheridan, gira in modo documentaristico per le strade di una Belfast musicata dai Pogues e immersa in depresse tonalità marrone, non se la sente di ripassare gli amati tocchi esuberanti (se non quando l'informatore inizia a "cantare" con fare rilassato) con una materia talmente dolorosa e pessimista: ma, pur sotto tortura (quella della violenza rappresentata) non risponde alle domande. A che prezzo la libertà? Da che parte stare? Dove pende la ragione (gli inglesi ci fanno miglior figura)? È eroico fare la spia, salvare la pelle (la propria famiglia), fermare degli assassini-terroristi (e non quelli "istituzionali"), sposare una causa fino in fondo, tirarsene fuori o digrignare i denti? Da ri-flettere. Tratto dal romanzo di Gerald Seymour.