Drammatico, Sala

SOTTO LE FOGLIE

TRAMA

Michelle vive la sua tranquilla pensione in un piccolo villaggio della Borgogna, vicino alla migliore amica Marie-Claude e non vede l’ora di trascorrere le vacanze con il nipote Lucas. Ma quando sua figlia Valérie e Lucas arrivano a casa nulla sembra andare per il verso giusto…

RECENSIONI

Per lo spettatore di un film di Ozon farsi delle domande e darsi delle risposte è parte dell’esperienza: è per questo che la recensione che segue va letta (come tutte, del resto) a visione avvenuta.
Nella prima parte di Sotto le foglie c’è da un lato il solito sviamento che il francese opera per disorientare il pubblico, dall’altro un segreto, un pesante non detto che attende di essere sciolto: entrambi si esemplificano nella prima sequenza in cui Michelle (Hélène Vincent) entra in chiesa e ascolta il Vangelo. Sviamento: guardando quella scena, nello spettatore si forma l'idea della protagonista come di una devota signora anziana che ha l’abitudine di recarsi a messa. Questa apparenza reca già in sé il non detto del film e il suo svelamento: il prete legge il brano del Nuovo Testamento in cui la peccatrice lava i piedi a Gesù e Michelle, da ex prostituta (il non detto, per l’appunto), ne rimane colpita. Con questo incipit, che sembra di mera contestualizzazione, Ozon ha già messo in moto la sua operazione: ha insinuato nello spettatore un falso convincimento - che potrà smentire in seguito - e ha inserito una chiave rivelatoria che, alla seconda visione, si potrà cogliere in tutta la sua portata. Basterebbe questo per dire della sottigliezza di questo autore, qui felicemente tornato a una sceneggiatura originale (anche se i suoi adattamenti sono altrettante ardite personalizzazioni dei testi dati): Sotto le foglie è il suo racconto d’autunno che, dietro la constatazione apparentemente lieve delle abitudini della sua protagonista - una donna che vive in campagna, in conflitto con la figlia e in adorazione del nipotino - insinua una serie di motivi che intorbidiscono il quadretto e lo rendono via via più sfumato, sfuggente a conclusioni univoche. Osserviamo dunque Michelle che raccoglie la verdura dal suo orto, che prepara la cena, che mangia e ascolta la radio: sono pennellate che delineano il personaggio, lo rendono familiare allo spettatore senza svelarne la peculiarità. Non abbiamo dubbi, allora, nell’individuare in Valérie (Ludivine Sagnier [1]) una figlia degenere e ingenerosa, che maltratta e sfrutta la madre: non sappiamo (ancora) che la condizione che la figlia ha vissuto è stata terribile, non possiamo (ancora) capire perché detesti la campagna e la vita vissuta in una piccola comunità in cui, in tutta evidenza, tutti sanno tutto. Nonostante rischi la vita per i funghi avvelenati che la madre ha servito a pranzo, riteniamo eccessiva la sua reazione e drastica la decisione di allontanarsi dalla Borgogna privando la madre della compagnia del nipote. Però Michelle quando ha riportato in cucina il piatto, per metà ancora pieno, non ha avuto remore nel buttare nella spazzatura i funghi rimasti, come se avessero espletato la loro funzione («Non è stato mica premeditato» le dice il medico, «Non lo so più» risponde la donna). E poi, a ben guardare, anche nel suo placido quotidiano ci sono elementi che incuriosiscono e insinuano increspature nel quadro (la lettura accanto al caminetto: un romanzo di Ruth Rendell).
Da sempre Ozon mette in discussione il consesso familiare quale intreccio di relazioni impastato di trame nere, storture e traumi (l’idea dei funghi avvelenati è legata a un episodio della sua infanzia), qui complicato da un conflitto generazionale che si muove simbolicamente in due ambienti (la pittoresca Borgogna, la livida capitale), con la polizia ai margini (come una paradossale minaccia) e un’indagine che si abbozza e che serve a isolare, nel racconto, un ambiguo piano morale in cui tutti mentono. È proprio in questa ambiguità la grandezza del film, nel suo procedere ellittico (con determinanti fuori campo, a cominciare dalla morte di Valérie - cfr. Anatomia di una caduta), in quel lasciare strategici vuoti nei rapporti tra i personaggi che sarà inevitabilmente lo spettatore a colmare (farsi delle domande, darsi delle risposte è parte dell’esperienza, ripeto).

Prendiamo Vincent (Pierre Cottin), il figlio di Marie-Claude (Josiane Balasko), migliore amica (ed ex collega) di Michelle: come Valérie l’uomo viene da un’infanzia segnata, esce di prigione (non ci viene mai chiarito il crimine che ha commesso) e l’impressione automatica (perché di automatismi spettatoriali parliamo) è che si tratti di un personaggio negativo; invece, assunto da Michelle, si rivela un giardiniere impeccabile e si trasforma in una sorta di figlio putativo. È davvero con le migliori intenzioni che si reca a Parigi per parlare a Valérie, convincerla a riaprirsi alla madre e a farle vedere il nipote? O ha una missione precisa da compiere, in caso di resistenza? Che cosa accada precisamente e quanta intenzionalità da parte sua vi sia nella circostanza che porta alla morte di Valérie non lo sappiamo. Ma il dialogo che riporto di seguito è cruciale e allusivo a un tempo:

Marie-Claude - Lui vuol fare del bene, ma fa sempre del male.
Michelle - L’importante è che lui voglia fare del bene.

In questo scambio chiave c’è l’essenza di Sotto le foglie, la morale alternativa (che si richiama a quella di un altro gioiello di questa stagione L’uomo nel bosco) che domina una storia in cui, cinicamente, il fine giustifica i mezzi e dove tutti (anche un ragazzino) abbracciano la stessa linea: sappiamo cosa è meglio, agiamo e mentiamo per ottenerlo. Perché l’ambiguità del Male è anche quella del Bene, l’una non sussiste senza l’altra. Come il non dire la verità di uno può confinare con il non volerla sapere di un altro.
Perché, freudianamente, è anche di rimozioni che si nutrono i personaggi di questo film, a cominciare dalla protagonista, Michelle, commossa - e forse un po’ invidiosa - quando constata l’attaccamento di Vincent per Marie-Claude: la foto sul desktop del cellulare di Vincent lo ritrae con la madre. Michelle, donna sempre più sola, è alla fine della vita (è arrivato l’autunno…), e non ha nessuna voglia di dedicarsi al volontariato in chiesa: ha investito sulla cura del nipote, nessuno potrà toglierglielo, soprattutto una figlia che parla della sua possibile dipartita senza alcun tatto e come una pura formalità.
E poi: non è possibile che Marie-Claude si alteri così tanto quando viene a sapere che Michelle ha prestato a Vincent i soldi per aprire il bar tabacchi perché legge quel prestito come un compenso al figlio per l’omicidio di Valérie (perché nelle ellissi del film ci può essere anche un accordo tra Michelle e l'uomo che, non a caso, protegge Lucas dai compagni di scuola)? Oppure perché vede minacciato il suo ruolo di madre e si vede derubata di Vincent da una donna che sembra non aver problemi nel far fuori una figlia ingrata pur di ottenerne la prole?
E via ipotizzando.

È in questo proliferare di motivi e possibilità il miracolo di un film che - nel suo tono compassato e nei suoi passaggi persino commoventi - riesce a tessere trame sotterranee di crudeltà, ferocia, morbosità. E, ribadisco, di un cinismo che non risparmia nessuno: non dimentichiamoci che il piccolo Lucas non solo mente alla polizia coprendo il possibile assassino della madre, ma alla fine del film rivela che a lui i funghi piacciono, il che ci fa leggere in tutt’altra chiave il suo dichiarare di non amarli e il rifiuto di mangiarli al famoso pranzo che aveva determinato l’intossicazione (che sia lui il potenziale avvelenatore?).
Il tutto attraversando i generi, non soffermandosi su nessuno, ché basta una battuta a mutare toni e mood: il dramma si fa giallo che si fa commedia (con tocchi quasi demenziali), in controluce la sottile militanza (la famiglia fuori dai canoni, Vincent e Lucas chiaramente gay - « Perché Vincent non ha una moglie?» - e, nel futuro, possibili amanti). Ospiti (s)graditi i fantasmi (Valérie che appare alla mamma come un rimpianto, un monito. O una colpa).
Su tutto domina la capacità del regista di lasciare intuire, dietro ogni scena, l’abisso, il mistero, la morte, l’eros. Maestro.

[1] Ozon, nel richiamare, dopo anni, Ludivine Sagnier, attrice che ha lanciato, pensa bene di riunirla a Malik Zidi, suo partner in Gocce d’acqua su pietre roventi, qui nel ruolo del marito.