
Doveva arrivare il film di cui tutti parleranno. C’è sempre a ogni edizione e quello di questo 2024 è il film di Coralie Fargeat, a ben sette anni dal celebrato Revenge. Un film di stretta attualità su Elisabeth, un’attrice Premio Oscar che ha superato l’apice della carriera e conduce da anni un programma di ginnastica aerobica per la tv. Il giorno del suo cinquantesimo compleanno, viene licenziata dal produttore, che la ritiene troppo vecchia. Riceve la proposta di usare una misteriosa sostanza, la quale promette di vivere una seconda giovinezza; tuttavia, non la vivrebbe direttamente Elisabeth, bensì una sua versione perfezionata e più giovane. La protagonista è Demi Moore in evidente ruolo autoreferenziale che si mette in gioco totalmente e rischiosamente (e mette ipoteche sulla stagione dei premi), mentre la sua versione “migliorata” è la sempre più lanciata Margaret Qualley. Nel film c’è uno stuolo di topic da cliccare: ageismo, sessismo, male gaze, abuso di chirurgia estetica, canoni di bellezza idealizzati e inarrivabili. Attraverso immagini inquietanti e precise, Coralie Fargeat racconta l’invecchiamento e la dipendenza patologica dalla giovinezza, affrontato con piglio pop e disturbante assieme. In trasparenza c’è il Dorian Gray di Oscar Wilde, davanti allo schermo un Dennis Quaid meravigliosamente laido (un produttore che si chiama Harvey…).
Come ha scritto Marco Catenacci nella scheda relativa al film, la questione è nello sguardo «Il body horror come conseguenza diretta e inevitabile dello sguardo, dunque. Uno sguardo che porta alla violenza (Revenge) oppure all’autolesionismo e alla macellazione del corpo (The Substance), uno sguardo che naturalmente non può che partorire immagini, proiezioni del sé, chimere che ci ossessionano. Quello tra Elisabeth e Sue è infatti anche uno scontro di immagini: da un lato, un ritratto fotografico gigantesco appeso in casa, residuo gotico di un mondo passato e di una vita sul viale del tramonto (all’opulenza polverosa della villa di Norma Desmond si sostituisce lo spazio vuoto e asettico in cui vive l’attrice interpretata da Demi Moore, ma poco cambia: anche questa è una casa dei fantasmi), dall’altro un cartellone pubblicitario che svetta fuori dalle vetrate dell’abitazione, immagine che comunica attraverso un linguaggio che appartiene al presente e all’immediato futuro (e che anzi va distrutto quando diventa passato, come osserva proprio Elisabeth a proposito della sua immagine pubblicitaria, poco prima dell’incidente automobilistico). E ancora, se il ritratto si colloca all’interno della casa (è la matrice), il cartellone promozionale sta al di fuori (è altro da sé, un sé possibile, migliore perché modellato sullo sguardo dello spettatore e quindi nuovamente una proiezione del desiderio); tirato in mezzo a questi due estremi, il corpo è un oggetto in rotta di collisione, un’entità destinata all’autodistruzione perché sopraffatta proprio da tali immagini ideali, legate perfino a due tempi diversi (“You were amazing!” e “They are going to love you”)».