TRAMA
Immersa in una natura incontaminata, la regione dell’Asuka è la vera e propria culla del Giappone moderno. E’ qui che sorgono tra le montagne dove un tempo si pensava dimorassero gli dei e dove oggi vivono Takumi e Kayoko, una coppia che non sembra più in grado di comunicare anche se la donna è da poco rimasta incinta. Affascinata da un altro uomo, di cui però non capisce l’esistenza votata all’attesa e alla contemplazione, arriverà a comprendere gli echi ancestrali che la legano a questo territorio e alle tante anime che vi hanno abitato. (dal catalogo del TFF 2011)
RECENSIONI
Lui, lei, l’altro. Naomi Kawase coniuga il presente di un triangolo sentimentale a un tempo astratto, sovradeterminato: il privato di una, di due relazioni si collega indissolubilmente a un respiro più ampio, quello mitico e ancestrale della leggenda (il monte Miminashi e il monte Kagu, in lotta per l’amore del monte Unebi), quello dei detriti ingombranti lasciati dalla Storia (la simile vicenda degli avi che echeggia nei gesti e nei comportamenti). Rima e costantemente rimanda, questa storia d’amore, inspira passato ed espira presente in un ciclo dove il futuro non può che essere predetto: mentre gli archeologi sono alla ricerca di tracce di quel che era, l’era si reincarna, ora, le notizie degli scavi sono il materiale di cui si nutre l’oggi. Per questo se per la Kawase il digitale è sempre stato luogo biografico, qui accoglie anche fantasmi, sino a farli concreti, così che la cronaca di una realtà abbracci quella di un immaginario, non s’assopisca, non basti a se stessa: ma s’annodi a fili di memorie e racconti, s’ingravidi d’un simbolismo limpido e primitivo (si pensi al contrasto tra gli uomini, segno l’uno del mondo urbano, l’altro di una dimensione naturale), sciocchi produttivamente lo sguardo punteggiando la minuzia diaristica con ellissi improvvise, costringa a confrontarsi con vuoti da colmare. E non sorprende che - di fronte all’incapacità della donna di seguire l’afflato stesso del film, fiction che dall’home movie tende alla cosmologia, e di riconoscere dunque la supremazia della Natura e del Tempo sulla mediocrità dell’uomo - si giunga alla tragedia. E anche se non è verificato, se è semplicemente detto, quell’aborto è prima di tutto una condizione esistenziale: quella di chi si pensa soggetto autosufficiente, sterilità artefatta dell’hybris di un io scevro dal paesaggio e dalla Storia.