TRAMA
un killer è in cerca di una camera.
RECENSIONI
“A room which is small but spacious.
A 4-matt room perhaps.
And there must be a window with a view.
[...]Yes, I'd like such a room. Yes, such a room.”
Un'interminabile inquadratura fissa che apre sul niente (magazzini, container di un'ipotetica zona industriale, portuale probabilmente) e che a quel niente si appiglia con distacco, nel vano tentativo di far parlare le cose che la riempiono, nonostante che da queste, con disappunto, non scaturisca alcunché. Un uomo arriva arrancando a sedersi su una panchina. Stacco.
La macchina da presa si apposta alle spalle dell'individuo che quasi casualmente magnetizza l'attenzione su di sé. Davanti a lui il mare, il porto di Tokyo. Il nulla ancora una volta.
L'immagine è vuota nonostante tutto. Indica qualcosa, ma non vi allude, non può. Semplicemente.
E' una costrizione ferrea quella con cui Sion Sono inscatola tutto il film: guardare a lungo, aspettare l'attimo che verrà per il solo gusto masochistico di attenderlo inermi, completamente nudi e indifesi, ciechi davanti all'evidenza che resta muta. Si inizia poco a poco a credere ad un tentativo di fuga, di annullamento che passa per le lame sottili che circondano e inchiodano lo sguardo in quella che è la vera camera, stanza dello sguardo, del cinema. L'inquadratura dopotutto, un modulo insopprimibile e costrittivo per natura.
E' come il ritorno a casa di un inglorioso guerriero l'esasperante ricerca che il protagonista inaugura dopo che una scheletrica quanto nebulosa Tokyo ha fatto il suo ingresso in scena. Teatro opaco in bianco e nero di una sospensione esistenziale che non trova né pace né silenzio, come un'eco fittizia che ricorda fino a che punto quello che si è logora e lavora dentro fino alla consunzione.
Ogni inquadratura è una lapide, granitica e persistente che indica con affanno un pellegrinaggio esasperante di un uomo insofferente alla propria identità, al proprio esistere, all'esame costante e implacabile che la macchina da presa fa delle sue mosse, calligrafia sensibile di un epigrafe mortuaria destinata ad essere eretta passo dopo passo. Si è osservati, quindi si esiste, e per fuggire da questa condizione di sudditanza dettata dallo sguardo si deve tentare l'annullamento, la morte e quindi l'affidarsi consapevolmente al sentire di un altro, un testimone, che anche solo per una frazione di secondo può condividere sensazioni, rumori e ricordi. Un passaggio di testimone appunto tra il protagonista e la ragazza che ricorda una morte assistita e comunque cullata dalla concezione che riconduce inevitabilmente ad un ritorno alle origini, all'utero materno, dove è ancora possibile esistere, nascondendosi. Un'affinità sottile lega l'opera di Sion Sono a Film di Beckett: stessa pulsione ed ossessione per l'insostenibilità dello sguardo, stessa paranoia dell'osservare e dell'essere osservati malgrado tutto. Il fine è uno solo: tentare di scovare la pace nell'annullamento privo di ogni anelito di pathos, where the perfume of the cherry blossoms flows in with the breeze in the morning, afternoon and at night, sopprimendo la pesantezza dell'essere per approdare al nulla e alla sua placida vacuità, lottando in un percorso ad ostacoli fatto di presenze materiche, edifici ronzanti come alveari, volti accennati, rumori della strada e qualcuno che silenziosamente procede accanto, testimone inconsapevole di una fine annunciata. In The room solo un flashback ci ricorda di un prima, un balzo indietro per recuperare la dimensione narrativa dell'opera, che altrimenti verrebbe interamente fagocitata dal qui e ora pronto a disintegrarsi.