Horror, Netflix, Recensione

PEARL

TRAMA

Nella fattoria isolata della sua famiglia, Pearl deve prendersi cura del padre malato sotto la stretta supervisione della madre religiosa. Sogna una vita lontana, simile a quella delle star del cinema, ma vive in un ambiente opprimente e spaventoso.

RECENSIONI

«Non c’è dubbio che esso [il perturbante] appartiene alla sfera dello spaventoso, di ciò che ingenera angoscia e orrore, ed è altrettanto certo che questo termine non viene sempre usato in un senso nettamente definibile, tanto che quasi sempre coincide con ciò che è genericamente angoscioso.»
Sigmund Freud, Il perturbante, 1919

Se in X: A Sexy Horror Story Ti West scopriva il corpo avvizzito e anziano, sebbene ancora desiderante e ardente di Pearl, nel secondo capitolo (sequel e insieme prequel) ne esplora le origini e la giovinezza. Texas, 1918, in una fattoria isolata e bucolica vivono Pearl, la madre e il padre in carrozzina, gravemente malato. I titoli di testa sono quelli della Hollywood Classica degli anni ‘20 e ‘30. È un tripudio di suoni, colori e nuance in Technicolor. Pearl danza e parla con i suoi animali, in un contesto edenico e gioviale. Poi, di colpo, la violenza esplode secca e improvvisa. Un’oca viene barbaramente uccisa (sarà il pasto dell’alligatore nel lago della tenuta). Eccolo, il perturbante! L’orrore celato dentro l’apparente normalità. Il volto innocuo e solare si trasforma in un attimo in quello di un’aguzzina priva di qualunque empatia od esitazione. È un’informazione precisa che aiuta a mettere a fuoco un personaggio fosco, complesso e sfaccettato. Pearl ha un sogno: diventare attrice. Essere vista, applaudita, desiderata. La sua è una personalità narcisista che poco alla volta verrà a galla, denudando uno status mentale precario e destabilizzato. Ti West costruisce il personaggio di Pearl a partire dalle zone d’ombra di una psicologia ctoniamente psicotica, dalla geografia e dal paesaggio isolato circostante. Alla dimensione agreste della fattoria, del campo dorato di granoturco si sutura il lato oscuro e ferino di Pearl: esuberante e vitale, vessata da una madre dura e intransigente e da un clima familiare opprimente e materico. Il cinema, per Pearl, scoperto grazie all’incontro di un giovane operatore cinematografico, è evasione, illusione, possibilità, riscatto, libertà. È convinta di possedere un grande talento, e che questo la porterà lontano, in tournée, in giro per il mondo. Pearl è audace e sfrontata e allo stesso tempo sembra avere il candore di una bambina. Il suo corpo palpita e tremola. La sequenza in cui si masturba, simulando un amplesso, usando uno spaventapasseri, ci conduce nei territori di un eros feticistico e simbolicamente necrofilo. Pearl è una mente disturbata, incapace di gestire la frustrazione e trattenere la collera e i suoi sadici istinti. Chiunque si frappone tra lei e il suo sogno artistico diviene un nemico, e il nemico va abbattuto, eliminato, reso inoffensivo. Pearl commette patricidio e matricidio. Delitti contro natura che, invero, liberano perversamente la sua mente e infettano il suo corpo divenuto una furia incontenibile. Maschera di dolore e vendetta. La rivalsa contro la cugina, che ha superato un provino teatrale (Pearl è stata bocciata), e il conseguente e cruento omicidio - compreso quello dei genitori -, faranno emergere il dionisiaco che come un’onda gigantesca, forza primigenia, investe e acutizza le emozioni, portando all’acme i suoi deliri e le sue psicopatologie. Ti West scrive una delle pagine horror tra le più dense, disperate, raffinate degli ultimi anni dove orrore, desiderio, solitudine si mescolano in un impasto - carneo - di sangue e poesia. Mia Goth, co-autrice della sceneggiatura, musa horror art-house (La cura del benessere, Suspiria, Infinity Pool) disegna sul suo volto le linee del macabro e dell’alienazione con una espressività ormai pienamente matura e consapevole.