
Il cinema, nonostante quello che si legge in giro, è più vivo che mai.
La stagione 2023/2024 ha visto il d’essai supplire alla mancanza di blockbuster, a causa del protrarsi dello sciopero di sceneggiatori e attori statunitensi, il cinema italiano ha trovato finalmente il grande successo che inseguiva da tempo (anche se non ha creato lo sperato effetto contagio verso altre opere nazionali) e il box-office ha avuto un andamento altalenante ai limiti dell’isteria, con mesi di incassi record e altri in profondo rosso. La tendenza è sempre quella dell’evento: si vuole essere al centro del mondo, vedere ciò di cui si parla, dire la propria. Per il resto, ahimè, ci si affida al salotto di casa e alla visione casalinga. I social diventano sempre più termometro di deliri che nulla hanno a che vedere con il cinema ma che finiscono per condizionarlo, creando assurde barricate con vincitori e vinti. Ma tolti contraddizioni e nonsense della contemporaneità e tornando al cinema, beh, è stata una stagione elettrizzante, con ben due COLPI FULMINE e altri film davvero BELLI. Non sono mancati, come sempre, i SOPRAVVALUTATI e i SOTTOVALUTATI. I BRUTTI ho invece imparato a schivarli, ma essendo onnivoro e curioso in qualcuno sono incappato.
Entriamo ora nel dettaglio. In ogni sezione l’ordine è alfabetico. Vicino a ogni film qualche annotazione.
COLPI DI FULMINE
Due film perfetti che hanno in comune un concetto a suo modo rivoluzionario, dati i tempi all’insegna del possesso: l’amore non è prendere, ma lasciare andare.
Past Lives di Celine Song
The Animal Kingdom di Thomas Cailley
BELLI
Anatomia di una caduta di Justine Triet: problematico
C’è ancora domani di Paola Cortellesi: in grado di captare una sensibilità contemporanea
Estranei di Andrew Haigh: il contesto in cui l’ho visto probabilmente ha inciso sul percepito, fila lunghissima, sala piena, volume altissimo, sentivo il film ma sentivo anche il pubblico, alla fine piangevamo tutti
The Holdovers di Alexander Payne: visto due volte, la prima con sottotitoli (fatti male), la seconda doppiato e incredibilmente sono riuscito ad apprezzarlo di più nella versione doppiata. In lingua originale avevo perso tutte le sfumature dei dialoghi, il linguaggio ricercato di Paul Giamatti mi era arrivato molto meno, insomma, ho avuto modo per l’ennesima volta di capire come gli integralismi siano da evitare. Preferisco la lingua originale, ma in questo caso è andata diversamente.
May December di Todd Haynes: sofisticato
Povere creature! di Yorgos Lanthimos: visionario
La zona d’interesse di Jonathan Glazer: urticante
DELUSIONI
50 km all’ora di Fabio De Luigi: modesto
Assassinio a Venezia di Kenneth Branagh: distante
Civil War di Alex Garland: innocuo
Dune – parte due di Denis Villeneuve: soporifero
L’esorcista – Il credente di David Gordon Green: sovrapponibile a mille altri
Ferrari di Michael Mann: approssimativo
Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos: di maniera
L’ordine del tempo di Liliana Cavani: le intenzioni erano buone
Twisters di Lee Isaac Chung: puerile
SOPRAVVALUTATI
Il regno del pianeta delle scimmie di Wes Ball: che barba, che noia
El Conde di a Pablo Larraí: kitsch
Foglie al vento di Aki Kaurismaki: quello che ti aspetti
Il maestro giardiniere di Paul Schrader: senile
Perfect Days di Wim Wenders: ognuno ha finito per vederci quello che stava cercando, ma per ragioni che poco hanno a che vedere con il film
Il male non esiste di Ryūsuke Hamaguchi: un grande boh
L’innocenza di Hirokazu Kore’eda: mi sembra che a tutti abbia detto più cose che a me
Totem di Lila Avilés: un po’ troppa autorialità finisce per soffocarlo
The Killer di David Fincher: ordinario
SOTTOVALUTATI
Adagio di Stefano Sollima: che atmosfera, wow!
Il cielo brucia di Christian Petzold: il piacere di abbandonarsi a un racconto
Club Zero di Jessica Hauser: ambiguo
Comandante di Edoardo De Angelis: facilmente strumentalizzabile e così è stato
Confidenza di Daniele Luchetti: su Luchetti c’è un preconcetto
Dogman di Luc Besson: su Besson c’è un preconcetto
El Paraiso di Enrico Maria Artale: dolente
Enea di Pietro Castellitto: su Pietro Castellitto ci sono molti preconcetti
Felicità di Micaela Ramazzotti: anche sulla Ramazzotti ci sono molti preconcetti
Hit Man di Richard Linklater: spassoso
Kripton di Francesco Munzi: invisibile
Maestro di Bradley Cooper: coraggioso
BRUTTI
The Beekeeper di David Ayer: Jason sei figo, ti dai da fare, perché non alzare un po’ l’asticella, anche solo di poco poco?
Bob Marley – One Love di Reinaldo Marcus Green: sembra la fiaba della buonanotte
L’impero di Bruno Dumont: imbarazzante
The Place di Roman Polanski: suvvia…
Shark – L’abisso di Ben Wheatley: la tavanata che non diverte