TRAMA
La quotidianità di un solitario uomo delle montagne.
RECENSIONI
Sposando uno sguardo contemplativo quasi crusoeiano, Ben Rivers assembla l'esercizio formale di Ah Liberty (2008) all'immersione nella natura, panica e scientifica allo stesso tempo, di Origin of the Species (2008), due mediometraggi grazie ai quali si è fatto conoscere nei più importanti festival di cinema e arte contemporanea. Two Years at Sea segue l'iperattivismo solitario di un uomo che cerca di ritagliarsi il suo spazio, compatibile e ludico, nel cuore di una montagna selvaggia e aspra. Ora fabbricante di mezzi di sostentamento, ora creatore di oggetti, piccoli o grandi, il protagonista pare rendere manifesto il latente spirito d'artista che giaceva nell'animo dell'eroe di Defoe. Sopravvivere, certo, ma senza per questo rinunciare al piacere del gesto gratuito, ad abbandonarsi, a sospendersi (la cabina sull'albero), a lasciarsi in balia di onde debolissime (la zattera alla deriva). La macchina da presa coglie i gesti iterati della quotidianità con la stessa neutralità con la quale immortala (fabbric)azioni di cui ci sfuggono il senso e il fine ultimo. Il titolo antifrastico, così come l’indecifrabilità di certi passaggi e di alcune peregrinazioni non immediatamente produttive, evocano un'aspirazione inconscia: pur adattatosi ad un ambiente ostile, il protagonista tende verso un altrove ideale, vive il qui in funzione di un là potenziale. Potrebbe essere ovunque e ovunque vivrebbe il giorno con lo stupore negli occhi e la febbre dentro di chi non ha smesso di sognare. Stilisticamente, il film sposa uno stile volutamente anacronistico (pellicola, bianco e nero), quasi a voler rendere visivamente l’eccezionalità da ultimo della sua specie del protagonista. Il racconto procede cadenzato non già da eventi dinamici forti, ma da impressioni e suggestioni, “spegnendosi” nella lunga, muta contemplazione di un volto scolpito dalla luce del fuoco.
