Drammatico, Sala

CIME TEMPESTOSE

Titolo OriginaleWuthering Heights
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2011
Durata129'
Tratto dadall'omonimo romanzo di Emily Brontë
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Un contadino dello Yorkshire in visita a Liverpool incontra per la strada Heathcliff, un ragazzo senzatetto. Decide di accoglierlo in famiglia, portandolo con sé tra le sperdute colline dello Yorkshire, dove il ragazzo instaura una relazione ossessiva con sua figlia Catherine.

RECENSIONI


Ci voleva Andrea Arnold, per la prima volta alle prese con un adattamento (pratica da lei dichiaratamente aborrita), per vedere l'unico e immortale romanzo della Brontë (IMDB conta trentasette trasposizioni tra piccolo e grande schermo) restituito, attraverso il cinema, alla sua essenza più autentica. Il merito della regista è quello di evitare la consolidata logica della standardizzata riproduzione in immagini del testo, di interpretare fedelmente la scarna, diretta e mai fiorita scrittura del classico in un film in cui la vacua letterarietà è bandita, il naturalismo s’impone, ché i protagonisti sono creature primitive che vivono nel bel mezzo del nulla, in una casa di pietra essenziale e spartana, che parlano pochissimo e con un eloquio elementare e volgare; Cathy e Heathcliff sono figure primarie che agiscono con istinto animale, corrono e si nascondono tra dirupi e fossi, si leccano le ferite, hanno sentimenti impetuosissimi, sono dominati da una vera passione mai inutilmente verbalizzata, spiriti liberi incompresi (mi piace essere sporco), bestiole mimetizzate in un habitat aspro e inospitale: la brughiera fumante di nebbie, vera e propria protagonista della storia. Sì, perché questo Wuthering Heights è film di umori terragni, di una natura partecipe delle vicende, che non solo empatizza coi protagonisti  (la lotta nel fango – rito cruciale di riconoscimento, prima che sensuale - col muschio che gocciola; i rami che picchiano sui vetri: come se la natura volesse esondare in casa), ma li avviluppa e li protegge. Una natura di cui i due fanciulli sono incarnazione diretta.


L’incontro tra queste due anime gemelle (Lui non saprà mai quanto lo amo; e non perché sia bello, Nelly, ma perché è me stessa; è me stessa più di quanto io lo sia. Non so di cosa siano fatte le nostre anime, ma la mia e la sua sono identiche) che il fato dividerà per sempre al bivio ineluttabile in cui convergono e confliggono natura e morale, classe e natali, è l’origine di una passione ossessionante, di un rapporto oscuro e distruggente, che annichilirà le possibilità di felicità di Heathcliff e di Cathy e che segna la sorte funesta di due intere famiglie. La storia è quella nota: il trovatello (di colore, scelta anomala, ma non immotivata, dato che si fonda sulla descrizione del romanzo che parla genericamente di un orfano dalla pelle scura), portato in casa da Earnshaw, l’amore della figlia Cathy, l’odio del fratello Hindley. La morte del contadino che lo accolse è l’inizio di una degradazione: le umiliazioni portano il ragazzo alla fuga, al ritorno dopo anni, al vendicativo riscatto. Al tentativo vano del recupero di un amore che verrà solo definitivamente affermato, ma mai vissuto. In fondo, il destino traviato del selvaggio Heathcliff (il suo è il punto di vista privilegiato del film) è già tutto in quel battesimo vissuto come una violenza (la questione religiosa è centrale per comprendere i fondamenti etici della comunità e le ragioni per cui il ragazzo la avversa): la deviazione del corso naturale delle cose, la costrizione di esso in parametri artificiosi determinano disordine e conflittualità. La morale è distruttiva: la natura la patisce.


Pur prediligendo l’uso in chiave verista di una macchina da presa mobile e nervosa, tutta proiettata verso i dettagli, quasi addossata ai personaggi, il film non rinuncia a un registro fotografico quasi pittorico, fatto di contrasti di luce nettissimi (i toni lividi degli esterni desolati, raggelati, con predilezione dei blu; quelli caldissimi degli interni, accoglienti, rassicuranti, virati sul giallo e sul rosso), procede con scioltezza sull’ottimo script che è tutto volto a rendere l’essenza della questione, trascurando gli inutili orpelli (nulla si dice sull’origine dell’improvvisa ricchezza di Heathcliff); non ricorre ad alcuna musica extradiegetica, intercettando, la colonna sonora, una felicissima varietà di rumori naturali, scelta che supporta ed esalta il registro verista tanto da far suonare incoerente il tema metafisico del romanzo (che si richiama al suo incipit che vede Heathcliff adulto: il narratore è un suo inquilino e la trama è un susseguirsi di flashback) che è infatti bandito [1]. Ma è tutta la seconda parte del libro, quella che dà conto della rovinosa influenza dell’orfano (non carnefice, non malvagio, ma, come detto, vittima della disastrosa avversione alle forze naturali che ha segnato la sua esistenza), anche sulla seconda generazione (i figli di Heathcliff, Cathy, Hindley che intrecciano i loro rapporti in una chiave puntualmente tragica, perpetuandosi quel conflitto tra natura e morale di cui sopra), che la Arnold elimina con coraggio, concentrando l’attenzione solo su quel legame forte e tempestoso, dipanando la struttura concentrica della novella, ma senza forzare mai il narrato in una chiave metaforica o di lettura forzatamente attualizzante, confidando nell'intrinseca forza universale dei temi e dei personaggi. Un adattamento portentoso, temerario, senza abbellimenti, sottotesti, furbizie, occhi strizzati e girato con lo stile consueto della regista, senza riguardo particolare per l'epoca (ogni epoca è stata contemporanea, del resto). Un risultato puro, duro, bellissimo.
 

[1] Il fantasma della giovane bussa alla finestra di Heathcliff chiedendo di entrare - la parte, insomma, che ispirò il celeberrimo brano di Kate/Cathy  Bush (Heathcliff, it's me, I'm Cathy, I've come home I'm so cold, let me in in-a-your-window ) -.