TRAMA
Ventotto anni dopo la loro estate insieme, i Molino e i Mazzalupi tornano a Ventotene per motivi diversi. Sandro è ormai morente e il figlio ventiseienne Altiero, imprenditore digitale sposato con un fotomodello, decide di invitare gli amici del padre a trascorrere un’ultima estate tutti insieme. Ma negli stessi giorni la cittadina ospita anche le nozze di Sabry Mazzalupi, diventata celebrità del web, che portano a Ventotene non solo la famiglia della donna, ma anche giornalisti, curiosi e arrampicatori sociali.
RECENSIONI
Cosa resta dello scontro delle ideologie, delle macerie culturali post berlusconiane, della memoria che scolora, dei social media che hanno irrimediabilmente inglobato corpi e desideri? Trent’anni dopo Ferie d’agosto, Paolo Virzì, da sceneggiatore intelligente e regista sempre più raffinato, scrive e dirige Un altro ferragosto, il sequel. Una tragicommedia amara, aspra, non accomodante. La destra e la sinistra ridotte a caricature, simulacri vuoti da cui prendono vita immagini deformate e distorte che restituiscono quadri alienanti della società. Alla grottesca e impunita vitalità degli anni ‘90 (si era agli albori di una mutazione antropologica che avrebbe per sempre cambiato sogni e prospettive) antepone la stagnante anestetizzazione del presente, caratterizzata da influencer coatte, neofascismi striscianti e dunque meno riconoscibili, omofobia, populismo. Virzì ipotizza cosa sia accaduto ai due gruppi familiari - i Mazzalupi e i Molino - simbolo di un’Italia sempre più divisa e in guerra, incompatibili e divergenti per classe e ceto sociale. Da un lato l’arrembante arrivismo della piccola borghesia speculatrice e faccendiera, dall’altra la classe intellettuale dall’ego ombelicale e dalla natura sprezzante. Tra lutti, sogni infranti, frustrazioni, intellettualismi egoriferiti sfila un campionario umano sui generis, osservato non con cattiveria o cinismo, ma con sconforto e rassegnazione. Un Paese lacero e spaccato, dove la famiglia tradizionale fa a pugni con i diritti civili, l’ambientalismo con l’abusivismo edilizio, l’impegno e l’etica con la cialtroneria buffonesca.
Un altro ferragosto è un film funereo, mortuario e pessimista. Virzì (vero erede dei grandi maestri della commedia all’italiana) alterna coraggiosamente i registri: la commedia (in superficie) e la tragedia (incombente). La location assolata ed estiva, usata in modo antifrastico rispetto agli umori e alle psicologie dei protagonisti, svela presto la sua anima nera e decadente. Un carosello di maschere e danze (macabre) affastella la visione, moltiplicandone gli intrecci e i punti di vista. Alla speranza (ingenua) del passato recente si suturano le idiosincrasie e le insofferenze di chi, nel tempo presente, testimone impotente, assiste allo sfascio e alla débâcle. Tra sarcasmo, salace ironia, lirismo Virzì chiude il cerchio. Si ride (a denti strettissimi) e ci si commuove. Silvio Orlando, vecchio e malato giornalista dell’Unità, fervido e ossequioso difensore della memoria di Ventotene, raggiunge vette altissime di spessore e struggimento. Le sequenze oniriche in bianco e nero in cui dialoga con i suoi “amici” partigiani, confinati sull’isola durante il fascismo, sono la ciliegina sulla torta di un film profondamente politico e umanissimo che sa indagare la realtà con occhio lucido e disincantato, senza facili schematizzazioni o partigianerie ideologiche, lasciando che siano le colpe, i malumori, e le miserie sedimentate a definire lo stato di realtà e l’identità di un Paese che non riesce più a fare i conti con la propria storia e il proprio passato.