
TRAMA
Nelle insidiose foreste paludose che costituiscono il cosiddetto “confine verde” tra Bielorussia e Polonia, i rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa che cercano di raggiungere l’Unione Europea si trovano intrappolati in una crisi geopolitica cinicamente architettata dal dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko. Nel tentativo di provocare l’Europa, i rifugiati sono attirati al confine dalla propaganda che promette un facile passaggio verso l’UE.
RECENSIONI
«Quale di queste sorti sia la mia, io non capisco, e questo solo so, mentre lentamente procede la mia cavalcatura, che questa strada deve pure avere un termine, sia reggia, agguato, onorificenza, disastro.»
La palude definitiva - Giorgio Manganelli
Il passato è ombra, il futuro è incerto. Il presente, fosco.
Europea orientale. Nell'ottobre 2021, una famiglia siriana atterra a Minsk. Sulle spalle, anni vissuti in un campo profughi; sulla pelle, i marchi dell'Isis. A condividere il viaggio con loro c'è Leila, un'insegnante afghana scappata dalle persecuzioni talebane.
Prima destinazione: una nazione geograficamente europea confinante con Polonia, Lituania e Lettonia da un lato; Ucraina (paese candidato all'adesione all’UE) e Russia dall'altro. La Bielorussia: una delle ultime dittature mascherata da repubblica presidenziale, guidata dal 1994 da Aljaksandr Lukašėnka, una delle tante contraddizioni che minano la reputazione democratica dell'Unione.
Seconda tappa: l'approdo in territorio polacco per poi raggiungere la destinazione finale, il ricongiungimento con quella parte di famiglia rifugiatasi in Svezia.
Sono vite che si affidano all'itineranza, ogni valico diventa un nuovo punto di partenza da affrontare e lasciarsi poi alle spalle, ogni confine superato e ogni nuova terra calpestata sono un (non) piccolo passo per l'uomo e un grande passo per disincagliarsi da quell'umanità e da quella politica ostili alla libertà di movimento; quella stessa Europa disorientata da flussi migratori sempre più massicci, che tuttavia mette in mostra con orgoglio giovani generazioni cresciute a contatto con la diversità oltreconfine grazie ai programmi Erasmus, ai viaggi in Interrail, al Cammino di Santiago, il primo itinerario culturale europeo.
Il percorso scelto è quello che si snoda nel versante orientale del continente, muovendosi lungo quel confine verde che ospita foreste e paludi marcescenti, luoghi insidiosi per esseri umani in marcia verso un altrove qualsiasi, non abituati al clima tipico di quelle latitudini, non adatti i pochi vestiti che si portano appresso. L’Est Europa come i confini dell'Impero: tanti migranti provenienti da Siria e Iraq, Afghanistan e Africa subsahariana vengono attirati grazie a facili visti concessi da Minsk e alle false promesse di Lukašėnka. Un volo da Damasco dà diritto ad un’illusoria permanenza in Europa, ma sono ancora ben lontani dall'Unione.
«Ora ascolterai la mia voce. La mia voce ti aiuterà e ti condurrà ancora più a fondo dentro l’Europa. Ogni volta che sentirai la mia voce, a ogni parola e a ogni numero, accederai a uno strato più profondo, disponibile, rilassato e ricettivo. Ora conterò da uno a dieci. Al mio dieci sarai in Europa.» Europa- Lars von Trier
Se negli ultimi anni il cinema si è concentrato sulla rotta balcanica (Europa di Haider Rashid, Go, Friend, Go di Gabriele Licchelli, Francesco Lorusso e Andrea Settembrini) e ancora più numerosi sono gli autori che hanno indagato l'onda alta e le tragedie del Mediterraneo (Io, Capitano di Matteo Garrone, Purple Sea di Amel Alzakout e Khaled Abdulwahed), Holland si insinua ancor più nei meandri del continente.
Per rimarcare che sì, l'ultima grande emergenza umanitaria legata alla migrazione in territorio europeo porta la provocatoria firma del presidente bielorusso, ma anche per dare eco agli scricchiolii di quelle regioni a cui sentiamo di appartenere, quando il mare è spesso considerato contemporaneamente spazio conteso e terra di nessuno, le acque internazionali immerse in una foschia legislativa che solleva da ogni responsabilità.
Un'odissea via terra - lineare, asciutta - suddivisa in quattro capitoli (La famiglia, La guardia, Gli attivisti, Julia) e un epilogo: una ricerca di prospettive multiple da un lato; una sequela di cornici purgatoriali che anelano a una non metaforica e ben più tangibile Compostela dall'altro, scivolando sotto il filo spinato, incassando i morsi dei cani e le violenze perpetrate da giovani soldati apparentemente imperturbabili.
In un percorso popolato di anime in fuga, Green Border diventa inevitabilmente un crocevia: un luogo di scontri con il potere e i suoi indegni rappresentanti in uniforme, guardie di frontiera che respingono donne e uomini in territorio bielorusso, di conflitto con quanti considerano l'uomo come oggetto di un contenzioso politico («Non sono persone, sono armi di Putin e Lukašėnka. Sono proiettili vivi»); ma anche punto di contatto tra chi mette a disposizione i propri mezzi (siano questi economici o temporali: le proprie abitazioni, le proprie professionalità) per aiutare l'altro. Gli attivisti monitorano gli arrivi, offrono cure mediche di base e leniscono viaggi altrimenti indifesi e allucinatori, ascoltando le confessioni di un passato permeato dagli spettri delle torture subite.
Per raccontare il conflitto tra Bielorussia ed Unione Europea, tra migranti e politiche xenofobe, Holland sceglie un impianto simil-documentaristico, avvalendosi del supporto di un'attivista per la stesura della sceneggiatura e di un rigoroso lavoro di ricerca in fase di pre-produzione - interviste con rifugiati e guardie di confine -, facendo di Green Border un'opera di finzione che restituisce allo spettatore echi fortemente aderenti al reale.
Le foreste che ospitano le peregrinazioni di Bashir e Leila, gli sforzi di Julia e i tormenti di Jan, sono il fedele ritratto della zona di esclusione, una landa liminale e mortifera, nella realtà resa di fatto inaccessibile alla stampa: «Hanno iniziato a costruire il recinto di filo spinato e a chiudere la zona a tutti, anche alle autorità polacche. Era impossibile aiutare quelle persone ed era impossibile vedere cosa stava succedendo. Il capo del campo, Jarosław Kaczyński, che è il capo del partito al governo in Polonia – è un dittatore – ha detto: “L’America ha perso la guerra in Vietnam perché ha permesso ai media di essere lì”. Era un’affermazione molto chiara e cinica: possiamo fare cose terribili, ma tu non puoi vederle.» (Agnieszka Holland)
Il cinema, ancora una volta, permette di mostrare quello viene altrimenti celato e si fa, al tempo stesso, cortocircuito di quello che i media scelgono di mettere quotidianamente in scena: «Alla televisione pubblica i politici più importanti dicono: “Non sono persone, sono solo armi."» (Agnieszka Holland)
Se parte del disegno programmatico di Holland («Il film racconta di come ognuno di noi possa ritrovarsi inaspettatamente in una situazione limite e dover fare delle scelte tra il Bene e il Male») rischia di arenarsi in un approccio che è vittima della sua stessa natura manichea, Green Border funziona nel suo farsi portavoce di un'urgenza politica radicata nell'attualità: portare sul grande schermo le contraddizioni e i nuovi interlocutori che si muovono sullo scacchiere della questione migratoria.
Premio Speciale della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia e Premio del Pubblico alla 53° edizione del Festival di Rotterdam, ora in sala grazie a Movies Inspired e Circuito Cinema, l'opera è figlia di una scelta politica ancor prima che artistica: «Ho deciso: non posso essere un attivista e andare lì con uno zaino pesante. Ma so come fare film. E lo farò per mostrare cosa stanno cercando di nascondere».
Ricollegandosi parzialmente ad un biografico differente nei tempi e nei luoghi (la famiglia ebrea sterminata dai nazisti nel ghetto di Varsavia, il carcere conosciuto durante la Primavera di Praga, l'esilio in Francia ai tempi della dittatura comunista in Polonia) ma ugualmente nomade, Agnieszka Holland sceglie il bianco e nero per metter in scena l'eterno ritorno dell'uguale: sono forse nuovi i confini, nuovi i protagonisti che tentano di attraversarli, ma quanto è politicamente e moralmente inedito quello che si muove – e che smuove - sul fronte centro-orientale?
«Se sarò polvere, che sia da sparo»
La bocca della verità - Lucio Corsi
