TRAMA
L’amicizia tra due ufficiali, uno dell’esercito inglese e l’altro di quello prussiano, resiste attraverso quarant’anni di sconvolgimenti della storia.
RECENSIONI
Considerazione preliminare: evitare di autoinfliggersi la visione di Duello a Berlino della premiata ditta Powell & Pressburger nella barbara mutilazione della versione italiana (ben 60 minuti!) che ne stravolge il costrutto narrativo e dunque il senso filmico tout court per quello che rimane uno degli esempi di boicottaggio più assurdamente macroscopici della storia del cinema.Il film che racconta linossidabilità di unamicizia impossibile nei confronti dei colpi assestati dal divenire storico si annuncia come una splendida e sontuosa lezione di cinema in technicolor sul desiderio di immobilismo etico-sociale contro lincessante e stritolante movimento della storia vista attraverso gli occhi di un ufficiale (e gentiluomo) inglese fin de siècle, Clive Candy, figura ispirata al Colonel Blimp (da cui il titolo originale), protagonista di una celebre strip satirica e antimilitarista britannica a cavallo degli anni 30 e 40. Il senso della pellicola è condensato dalla frase The War will start at Midnight! pronunciata dal generale Candy durante la sequenza di un attacco simulato rifiutandosi di accettare la decadenza di un universo fondato sulla ferrea e allo stesso tempo cristallina marzialità klausevitziana, un mondo di pura idealità militare, di lealtà fiera e imperturbabile, di ordine, disciplina, di formalismi, di cerimoniali (come quello del duello in cui il rito preparatorio conta più dello scontro vero e proprio), di sodalizi sovrastorici (vedi La grande illusione). Splendida la sequenza senza stacchi in cui lattempato ufficiale ingaggia una colluttazione con il giovane soldato secondo il quale la guerra è un assurdo gioco di vile astuzia che non possiede più regole, dove limmersione nel bagno turco corrisponde allo sprofondamento nel ricordo di una vita.Le grandi soluzioni stilistiche powelliane si raffinano soprattutto nel passaggio dal tempo dell innocenza (denotato da vivacissimi movimenti di macchina) a quello dell esperienza in cui gli anni piano piano trascolorano nei toni cromatici più lividi e cupi della disillusione (toccante il monologo dellufficiale tedesco Theo Kretschmar-Schuldorff, sottolineato dallinterpretazione di un impagabile Anton Walbrook, un tempo prigioniero di guerra, ora profugo di fronte allufficiale dellimmigrazione britannica), mediato dai blu e dai marroni pastellati nella drammaticità sospesa dei quadri di battaglia.E in tutto questo, lalgido nitore vittoriano della bellezza keatsianamente senza tempo di Deborah Kerr, simbolo eminente del desiderio di eterna immobilità delle cose: sempre la stessa donna da amare, sempre la stessa guerra da onorare (combattendola).
