Animazione, Fantastico, Recensione, Sala

IL RAGAZZO E L’AIRONE

Titolo OriginaleKimi-tachi wa dō ikiru ka
NazioneGiappone
Anno Produzione2023
Durata124'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Tokyo, 1943. Mentre la Guerra del Pacifico impazza, il dodicenne Mahito Maki perde la madre Hisako durante l’incendio di un ospedale e l’anno successivo il padre Shoichi si risposa con Natsuko, sorella minore di Hisako. Per allontanarsi dalla guerra, la famiglia si trasferisce nella tenuta di campagna di Natsuko, dove Mahito fatica ad abituarsi alla nuova casa e soffre per la perdita della madre e per la gravidanza della zia e matrigna.

RECENSIONI

Ci sono artisti che hanno fatto del ritiro dalle scene una forma d'arte, una performance protratta nel tempo e un atto sessuale con pubblico e fandom a ritmo di tensione e rilascio. L'inarrivabile David Bowie ha cominciato a ritirarsi e tornare subito raggiunto il successo con Ziggy Stardust. Hayao Miyazaki, tra ritiri ventilati, annunciati, ratificati (un categorico niet dopo il precedente Si alza il vento, 2013) ma sempre smentiti dai fatti si annovera tra i più brillanti allievi dell'uomo che cadde sulla Terra. Rimane da capire cosa abbia spinto a un ulteriore capitolo l'ultraottantenne sensei dell'anime, dopo una carriera così densa e amata da renderlo l'unico autore d'animazione diventato una antonomasia globale e pop (Disney, certo, ma Walt Disney dopo aver personalmente diretto i cortometraggi pionieristici e le Silly Simphonies è passato al ruolo pratico e simbolico di produttore, padre padrone, corporation, entità, categoria immortale dello spirito - invece si dice "andiamo a vedere il nuovo Miyazaki" intendendo un anime con una inconfondibile grana autoriale fatto anche artigianalmente proprio da lui, con le sue specifiche individuali caratteriali, mettendoci il corpo e la faccia). Malignamente si potrebbe lanciare sul piatto la carta edipica e la costante castrazione artistica del povero figlio Goro, cui già Hayao ha precluso "per incapacità" l'eredita Ghibli. Passando dal gossip a altitudini altre, in attesa di scoprire se seguiranno altri ritiri e altri ritorni, siamo convinti che Miyazaki abbia generato Il ragazzo e l'airone perché aveva ancora qualcosa da dire - e cercheremo di capire cosa. "Avevo annunciato il ritiro, sono tornato: è patetico ma l'ho fatto".
Al primo impatto - impatto fisico, direi - Miyazaki torna per stupire. Si alza il vento, con il suo naturalismo contemplativo agrodolce e i suoi toni e temi e ritmi mitteleuropei (Mann, Zweig, Schnitzler), sembrava segnare - oltre al commiato canto del cigno per chi ci ha creduto - il passo della terza età. Se il cinema del maestro nipponico è un metronomo tra realismo e fantasia, l'opera con Paul Valéry nel titolo si posizionava al limite del primo polo. Il ragazzo e l'airone è all'estremo opposto e in assoluto il suo film più rapido. È letteralmente fantasmagorico: dopo una introduzione a passo standard, nella lunga sezione centrale personaggi, situazioni, scenari appaiono e scompaiono come fuochi fatui, come figure di Méliès, quasi senza drammaturgia, travolgendo lo spettatore. L'ammassarsi addossarsi di creature fino al senso di soffocamento e asfissia è topos miyazakico ed è qui particolarmente ricorrente, non a caso. È un film a lungo confuso, confusissimo, mosso da una pulsione all'horror vacui per cui le cose accadono senza soluzione di continuità, in eccesso di velocità, col piede sull'acceleratore del ritmo di pieni e vuoti e in modalità superflat. L'unico modo è lasciarsi andare, non pretendere l'interpretazione precisa o - peggio - la concordanza e la coerenza. Uno dei fondamentali della poetica miyazakica ovvero "i mutamenti sono frequenti a questo mondo" trova l'applicazione più spericolata. E ci sono anche grosse sorprese nel disegno. Il meticolosissimo Miyazaki si concede un tratto meno definito, cede all'abbozzo (addirittura alcuni visi vengono lasciati senza connotati!). Potrebbe essere una concessione alla stanchezza senile oppure una scelta coerente con la rapidità costitutiva dell'opera (come notato da tutti, la sequenza dell'incendio che apre il film è il massimo di espressionismo in cui Miyazaki si sia spinto) oppure - speriamo - entrambe le cose: significherebbe una intensa doppia trasparenza della poetica e del corpo del regista. Ugualmente il ricorso mai così massiccio allo scenario fisso, mai così evidente, sul quale i personaggi si muovono come attori di teatro No.

D'altro canto Miyazaki torna per ribadire, confermare e il film vive di questa costante sovrimpressione imperfetta, sfasamento. Innanzitutto le autocitazioni. È una reminiscenza continua. Non c'è praticamente opera precedente che non venga saccheggiata per trovate visive, personaggi, fondali, temi. Sicuramente numerose pagine web di detective avranno snidato ogni coincidenza, cominciando dalle creature albine Warawara discendenti dirette dei Kodama di Mononoke e parenti delle sorelle di Ponyo e degli spiriti della fuliggine di Totoro e della Città Incantata fino ai parrocchetti fascisti che ammiccano ideologicamente a Porco Rosso e morfologicamente agli Otori-Sama della Città Incantata e avanti ad libitum. La rapidità torrenziale de Il ragazzo e l'airone produce una specie di illusione ottica, di paradosso temporale quantistico per cui verrebbe da pensare non si tratti del riassunto, del centone che in effetti è, piuttosto di uno sketchbook, di un repertorio, di una grande matrice di idee allo stato grezzo poi sviluppate nelle opere mature - che però sono in realtà cronologicamente precedenti. Ci sono inoltre le consuete citazioni-omaggio da altri medium del coltissimo Miyazaki - splendide quelle di Monet e De Chirico per gli ambienti metafisici della torre abitata dal prozio mago - oltre a un verso dalla Divina Commedia messo come elemento architettonico e della torre e del film.
Miyazaki torna a confermare i suoi temi, con qualche significativa sfumatura variante. Il ragazzo e l'airone racconta l'ennesimo passaggio di soglia, il viaggio iniziatico dentro una dimensione ulteriore da cui dipende il mondo sensibile cartesiano ma che risponde a leggi autonome (Dante come segnaletica elementare). Ed è tipico Mahito, il ragazzo, come tutti i protagonisti maschili (proiettivi) di Miyazaki un "eroe" tra virgolette - ancora Bowie - il cui segno particolare e simbolo, ancora una volta, è la ferita, insicuro e insufficiente, mediamente passivo di fronte ad eventi fantastici (come Dante) che lo travolgono, spesso maldestro e sostenuto da un'unica dote: la caparbietà e il senso della missione. E ancora una volte sono le donne a saper fare tanto in un mondo quanto nell'altro. È consueta anche l'ambiguità fondamentale, la plasticità etica, la complessità psicologica, la fusione taoista di opposti che fa delle opere Ghibli - e del Giappone - l'opposto estremo del manicheismo Disney - dell'America. A proposito basti segnalare come l'airone, creatura psicopompa che accompagna il protagonista al di là verso la soluzione della propria missione/destino che è fuori metafora fiabesca un blocco psicanalitico/edipico, si presenti come un vero e proprio demone persecutore. E l'amicizia, il patto è coevo alla ferita. La familiarità giapponese con gli Oni e la demonologia nelle mani di Miyazaki si presta ancora a emblematizzare perfettamente le manifestazioni del sintomo, del trauma, del rimosso, del lapsus. Il ragazzo e l'airone è per molti versi una lunga seduta psicanalitica, piena di chiari simboli, a cominciare dalla torre, archetipo dei tarocchi dove rappresenta il cambiamento radicale che deve essere accettato per lasciare che si presenti la risoluzione (ricorda qualcosa?) e, più specificamente, per Jung ha a che fare con la lettera ebraica Hain e con il numero biblico della vecchiaia sul quale si innesta il tema della caduta e della distruzione, della liberazione di energie che disfino l'edificio narcisistico tramite il cambiamento, il lasciarsi andare. Inoltre il consueto femminino proto-femminista scivola nell'uterino con sfumature edipico incestuose. È terapeutico il movente del ritorno dal ritiro? Forse, anche. Ma non solo.

Il baricentro tematico dell'ultimo-non-ultimo Miyazaki segna uno slittamento rispetto ai precedenti. Sarà l'avanzare degli anni ma i temi esistenziali, privati e universali, hanno un peso dominante nell'economia dell'opera rispetto alle consuete istanze politiche ecologiste e pacifiste - si trovano allo stato puro soltanto nel già citato segmento dei parrocchetti che si muovono come una massa canettiana, alzano gonfaloni inneggianti al duce e sono guidati da un tronfio golpista. L'ecologismo radicale di Miyazaki si è sempre fondato su una idea cosciente e complessa di natura, amata per ciò che è ovvero un sistema che non risponde a criteri etici umani dove la bellezza è gratuita e infinita e la morte, la violenza sono ovunque, dove gli opposti si combinano e confondono. La natura secondo Miyazaki non ha nulla dell'antropomorfo disneyano per cui gli animali, come notava John Berger, sono simulacri degli animali reali e concorrono a coprire l'ecocidio, la tabula rasa del selvaggio nel mondo. La figura chiave è il Dio Cervo (Colui-che-cammina-nella-notte) di Mononoke, epitome di assoluta fragilità e sovrumana grazia e altrettanto assoluto potenziale distruttivo, come sanno bene in Giappone, il territorio al mondo con il tasso più elevato di terremoti e tsunami. La natura non è buona ma è sacra e va difesa dall'uomo quando esso diviene un elemento di squilibrio. Allo stesso modo l'uomo diventa una forza negativa quando cede agli istinti di sopraffazione scegliendo il nazionalismo, il totalitarismo, la guerra. Eppure la natura in Miyazaki sempre cangiante, perturbante, ambivalente non è mai stata così spesso minacciosa, ansiogena, asfissiante come ne Il ragazzo e l'airone. C'è una vena di inquietudine ulteriore che attraversa il film.
La soluzione del conflitto-trauma non passa soltanto attraverso la ricomposizione e accettazione nell'altra dimensione quantistica della propria biografia e genealogia bensì altrettanto dall'incontro con la figura demiurgica del prozio che è passato dall'altra parte dopo aver letto troppi libri, distaccandosi dagli uomini, una sorta di Grande Architetto di William Blake che regge attraverso ragione la struttura equilibrista di un mondo perfetto iperuranico. È anche un Re Pescatore stanco che attende l'erede. Abbiamo detto come le scelte consapevoli, gli atti di volontà del protagonista/alter ego Mahito siano rare ma tutte estremamente importanti e significative. Mahito, il ferito, rifiuta l'eredità e sceglie di tornare nell'aldiquà che è il mondo fenomenico dominato dall'imperfezione, dove sono il dolore, il lutto, la morte ma che è anche l'unico luogo dove esistere è vivere. La parte rilevante del titolo del precedente Si alza il vento è quella segreta e si trova nel verso integrale del Cimitero marino: "Le vent se lève. Il faut tenter de vivre". E ancora nell'onomastica si trova la chiave enigmistica de Il ragazzo e l'airone. Il titolo originale ricalca quello di un romanzo di Genzaburo Yoshino del 1937, dal quale si attinge il repertorio filosofico: E voi come vivrete? Sospettiamo che il movente del ritorno di Miyazaki sia ribadire un'altra volta questa domanda da lasciare aperta. Oltre a ribadire "voglio fare un film per dire ai bambini che è bello essere vivi". Ancora una volta la vita al centro. E affermare, nonostante.