TRAMA
Dopo dieci anni trascorsi in Svizzera, la tredicenne Marta ritorna con la madre e la sorella maggiore in Calabria. Qui si prepara alla cresima.
RECENSIONI
La storia di un ritorno impossibile: Marta torna a una terra che non le appartiene e a cui lei non appartiene, un mondo a brandelli che l'accoglie senza curiosità, senza diffidenza, semplicemente inglobandola nel quotidiano, come se, per l'appunto, la ragazzina non si fosse mai mossa da quella cornice slabbrata. Marta non ha nulla dell'eroina dolce e matura che di solita caratterizza il Bildungsroman: è una ragazzina introversa, senza doti o difetti peculiari, che osserva quello che la circonda e tenta di coglierne, più che il significato, il ritmo, la pulsazione. Che si tratti del suo corpo acerbo eppure già maturo, della fioca luce di una lampada che le ondeggia sulla testa, delle lezioni di catechismo, in cui il mistero spirituale si riveste di brandelli di reality show, o dell'attività di alcuni ragazzi, che raccolgono la macerie di esistenze estranee per costruire uno scenario assurdo quanto concreto, Marta scruta, indaga, senza parere, senza porsi interrogativi troppo grandi o forse inutili (la figura paterna, avvolta nel silenzio o nella damnatio memoriae), adeguandosi e cedendo solo quel che tanto che è indispensabile per non colare a picco. Piccolo Messia che azzarda miracoli (l'immersione nelle acque, il salvataggio dei gattini) e ovviamente fallisce, Marta sviluppa il presentimento di una risurrezione, possibile solo nel momento in cui il silenzio, anziché nascondere il vuoto spirituale, ne diviene l'ineluttabile testimonianza. Ed è in questa rinascita che la giovane, dopo tutto, trova la via di casa.
Esordio nel lungometraggio di fiction della documentarista Rohrwacher, Corpo celeste rivolge uno sguardo crudo, persino aspro, su personaggi e situazioni di quotidiana desolazione, dimostrando al tempo stesso una capacità di trattare il grottesco senza banalizzarlo (la figura insieme ridicola e tragica della perpetua) e di affrontare il tema mistico senza ricondurlo a formule, appunto, da catechismo o da circolo anticlericale. In alcuni punti, specie nella seconda parte, il film tende a sfaldarsi e, quel che è peggio, a gridare quello che prima era solo accennato e sussurrato: la visita al paesino diroccato fa tanto metafora da sussidiario, così come i ragazzi bendati in chiesa costituiscono un tocco esteticamente piacevole, ma a dir poco superfluo, e altrettanto dicasi per la tempesta di spazzatura che accoglie Marta all'uscita dalla chiesa. Ci auguriamo che l'opera seconda confermi gli aspetti più promettenti e prosciughi, se non può eliminarlo, quel lieve compiacimento che rischia di affogare non solo le migliori intenzioni, ma un vero potenziale registico.
