CARTOLINA DA CANNES 76 – ALLA QUINZAINE CRETON INCANTA

La Quinzaine è come al solito un programma che scorre parallelo e alternativo a concorso. L’ultima opera di Pierre Creton  non è nella competizione maggiore, pensiamo, solo per il suo carattere alternativo, il suo tratto avanguardistico, la sfuggire a un’etichetta. Ma Un Prince è un film che lascia un segno profondo nella kermesse di quest’anno,a conferma dell’irrinunciabilità dell’appuntamento con la Croisette.
Di cosa parla il film? La sinossi dice di Pierre-Joseph che si unisce a un centro di formazione e apprendimento per diventare giardiniere. È lì che incontra una serie di personaggi: Françoise Brown la regista, Alberto il suo insegnante di botanica, Adrien il suo datore di lavoro, che saranno decisivi nel suo romanzo di formazione e lo apriranno alla sua sessualità. Quarant’anni dopo appare Kutta, il figlio adottivo di Françoise Brown di cui ha sempre sentito parlare e che non ha mai incontrato. Ma Kutta, divenuto proprietario di uno strano castello, sembra cercare qualcosa di diverso da un semplice giardiniere.

Una scuola di giardinaggio, un insegnante, una direttrice, il figlio adottivo di questa che torna. E un discepolo che esplora la sua sessualità. Memoir a più voci (over, anche di attori diversi da quelli sullo schermo) in ossequio al romanzesco, una palette desaturata fino all’incolore, una rigorosa successione di quadri fissi di nitida bellezza. Creton guarda il sesso come le piante, con un distacco che alterna constatazione a lieve ironia: il coito non ha nulla di erotico, è fisico in senso stretto, materico, terragno, i corpi come canali di pura pulsione. Una narrazione impalpabile si snoda tra personaggi mai davvero protagonisti, all’ombra del principe indiano del titolo, la cui apparizione coincide con un’imprevista apoteosi visionaria che, contraddicendo il registro naturalista del film, consegna al festival la sua immagine più sconvolgente. Un gioiello.