Horror

THE WARD

Titolo OriginaleJohn Carpenter's The Ward
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2010
Genere
Durata88'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Kristen viene ricoverata in un reparto psichiatrico. Un’oscura presenza uccide una ad una le sue compagne.

RECENSIONI

Spoiler a go go. Non si cerchino in The ward, rentrée di John Carpenter a nove anni da Fantasmi da Marte, i lapalissiani, spartani, radicali sottotesti politici di cui è intrisa parte della sua filmografia, quella che l'ha consacrato (suo malgrado) Autore. Non si cerchi l'attitudine teorica di Il seme della follia o del meraviglioso episodio dei Masters of Horror, Cigarette Burns. E non si cerchi nemmeno il gusto sfacciato della contaminazione che permeava le due ultime (incomprese) opere cinematografiche, Vampires e, appunto, Fantasmi da Marte. The ward è puro e semplice meccanismo, dimostrazione di competenza: Carpenter gira uno script da B movie straight to video con perizia hitchcockiana, esercitata in un cinema ipnotico, che distoglie dagli ingranaggi del congegno/sceneggiatura. Lo sguardo sorvola, obnubilato dalla tensione, sui vuoti di non-detti ingombranti, che si affastellano per dare consistenza al coup de théâtre, alla svolta che retroattivamente colma di senso le ellissi. Con sublime padronanza delle logiche narrative Carpenter semina domande, che il senso di ineluttabilità tangibile svilisce: l'accento va a posarsi sull'inesorabile count down della morte, i perché impallidiscono nel gioco al massacro che mima I dieci piccoli indiani di christieana memoria ma d'applicazione eclettica (dallo slasher al torture porn), con venature che si vorrebbero paranormali ma sono, sorpresa, intimamente psicologiche. E' il finale, con lo svelamento del Reparto come luogo mentale, a contestualizzare il notevole filmetto in maniera precisa nel corpus carpentariano, situandolo tra le opere che ambiscono a dare forma (sanguinolenta) ai fantasmi della psiche (o, pragmaticamente/carpenterianamente, a adoperarli come pretesti narrativi). La sostanziale unità di luogo incrementa il coefficiente di maestria. Tracce di De Palma ovunque, da Le due sorelle a Raising Cain, ma un De Palma denudato sovente dalla logica postmoderna del doppio segno (parodia a braccetto con serietà), come se Carpenter ripensasse Hitchcock attraverso il filtro dell' epigono, puntando a simulare e restituire le immediate e geometriche superfici del Maestro. Gli ultimi secondi, però, con il ritorno à la Carrie, cancellano anche questa pretesa critica, consegnandoci, semplicemente, un invidiabile prodotto primario. Astenersi ottusi fautori del realismo, ça va sans dire.