Grottesco

ALLA MIA CARA MAMMA NEL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO

TRAMA

Il trentenne Fernando vive ancora con l’iper-possessiva madre contessa. Si distrae con bambole di gomma e foto oscene fino a quando non arriva a casa una nuova domestica.

RECENSIONI


A dispetto della sua cattiva fama, Alla mia cara mamma nel giorno del suo compleanno non è una satira scollacciata del mammismo italiano, né, tantomeno, una stanca riproposizione alimentare/elementare del melodramma edipico-morboso inaugurato da Grazie zia di Samperi e rinverdito in chiave comica dal pozzettiano Per amare Ofelia. Pur nella chiara affinità tematica, la black comedy di Salce richiama ben altro, anticipando con il suo bestiario (tragi)comico certa deriva “incarognita” della commedia all'italiana  (inaspritasi in chiusura di decennio con le pietre tombali del genere - Un borghese piccolo piccolo, L'ingorgo e La terrazza ) e riallacciandosi, nelle sue stilettate d'humour nero, a certo grottesco di marca ferreriana (il soggetto è liberamente tratto dalla semiomonima opera teatrale di Luis Berlanga e Rafael Azcona, sceneggiatore del primo Ferreri). Sorta di fiaba nera anti-borghese, avvicinabile per  (anti)utopismo sentimental-sociale al lattuadiano Oh Serafina! (di cui pare la metà oscura), Alla mia cara mamma racconta la tardiva emancipazione sessuale di un giovane uomo (Villaggio in uno dei suoi rari ruoli pre-fantozziani) succube dei dispotici voleri materni, oppresso dall'infernale perbenismo della provincia e intrappolato in un milieu nobiliare in via di decomposizione. Se il ricatto affettivo della madre non gli permette vie di fuga, imprigionandolo nei suoi rituali incestuosi e incatenandolo all'obbedienza delle finzioni sociali, solo l'amore per la povera domestica storpia può liberarlo dalle maglie familiari; ma l'idillio d'amore è mera illusione, vana speranza messa a tacere in una chiusa di afflitta poesia. Caustico e impietoso, Salce deforma con cattiveria i suoi attori, imbruttendo visibilmente la De Santis, paralizzando Di Bruno in sinistri tic facciali e sfregiando con sarcasmo la bellezza della Giorgi, qui costretta a claudicare. Come in Venga a prendere il caffè...da noi di Lattuada, le scene erotiche sono tristi e repulsive, lo spaccato sociale soffocante e funereo, la morale che ne avanza cinica e disperante. Né mancano passaggi politicamente corrosivi, come il pranzo dei poveri offerto in occasione di San Porfirio, d'irriverenza quasi buñueliana nel smascherare apertamente l'ipocrisia benpensante della madre. Salce ha inoltre il pregio di rimanere equidistante da patetismi e goliardate, mantenendo il film su un registro perennemente straniato, oscillante tra dramma e commedia, a tratti corrivo, finanche greve, ma sempre obliquo e disturbante.  Alla mia cara mamma è tra le opere più personali della filmografia salciana, ma il suo cinema eclettico e polemico, noto quasi solo per il dittico fantozziano, resta ancora tutto da (ri)scoprire.