TRAMA
Creduta scomparsa, Yuki si ripresenta dagli amici d’infanzia che l’abbandonarono dieci anni prima nella galleria degli orrori “Shock Labyrinth”. Cade dalle scale e sviene: la accompagnano in un ospedale che scoprono deserto.
RECENSIONI
Nessuno shock, nulla di estremo, solo un labirinto
Doppia delusione, come primo film giapponese stereoscopico e come prova del talento di Takashi Shimizu, padre del new j-horror con la serie Ju-On: il problema principale di questa ennesima variante orientale sul fantasma vendicativo, è che non fa paura. Crea suspense, mistero, aspettative, una consona atmosfera disseminando dettagli che (come Shimizu ama) troveranno una collocazione di senso, ma spossa nell’assenza di eventi significativi e di trasalimenti d’orrore, nonostante l’ausilio della tridimensionalità, sfruttata egregiamente nei giochi prospettici, fra corridoi senza fine, piume in primissimo piano, gocce di pioggia che sospendono il Tempo e mani alla cieca. Pregevoli anche il lavoro sul suono (spesso riprodotto al contrario) e qualche sprazzo figurativo in sé (la scala a chiocciola, i manichini assassini, l’ospedale nel bianco lattiginoso, le soggettive elettromagnetiche). Assorbito dagli esercizi di stile con il nuovo mezzo, Shimizu non s’accorge dell’endemica inabilità allo shock della sceneggiatura: mancano le vite in pericolo, una degna figura malvagia a minacciarle, dinamiche di uccisione disturbanti. Siamo più dalle parti del melodramma, con gli interpreti rosi dai sensi di colpa, intenti a piagnucolare o a dichiarare il loro amore per la persona sbagliata: se Shimizu l’avesse esposto in modo lineare, saremmo di fronte ad una bufala stile The Park di Andrew Lau (colpi di scena finali compresi). Per fortuna sceglie il labirinto narrativo, partendo da flash di memoria lisergici-incubali (l’amnesia di Ken) per arrivare ad intriganti paradossi temporali, dove il ricordo del passato ingloba atti agiti nel presente, i sé adulti interagiscono con quelli infantili e i corpi sono (anche) statue di cera, mentre la drammaturgia anticipa eventi futuri, differisce quelli passati, li altera in dimensioni parallele (la madre che impedisce loro di entrare nella galleria). Un labirinto che è anche un’arma a doppio taglio in quanto sacrifica, di nuovo, qualsiasi stato d’ansia, fra assenza di climax e troppe ellissi, esponendo ogni scena a scompartimento stagno al ridicolo (raggiunto senz’altro ad ogni comparsa del coniglietto volante).