Drammatico, Recensione

3 GIORNI PER LA VERITÀ

TRAMA

Un gioielliere, separato dalla moglie, medita vendetta nei confronti di colui che, cinque anni prima, investì con l’auto la figlia: è, infatti, appena uscito di prigione.

RECENSIONI

Due dolori a confronto: il rimorso e l'ossessiva vendetta come palliativo per curare le fratture interiori; la violenza che nasce dalla repressione e la rassegnazione che nasce dalla troppa violenza. La seconda opera da regista di Sean Penn lo conferma autore dall'eminente personalità, ma non ritrova quell'alchimia fra sospensioni misticheggianti e drammi umani di Lupo Solitario (film richiamato anche dalla rinnovata collaborazione con Bruce Springsteen: la canzone è "Missing"). Si parte ancora da un dilemma morale, psicologico ed esistenziale, dalla conflittualità in seno alla famiglia, alla rincorsa del cinema di parole e verità di John Cassavetes, con piena fiducia nella bravura degli interpreti, riflettendo le discrasie e l'introspezione con (troppi) ralenti subliminali. A livello drammaturgico Penn cerca la "modernità" con i montaggi paralleli (il club di striptease/il dolore dei genitori "orfani" dei figli), la narrazione antilineare e (troppo) a frammenti, l'insolita malia in equilibrio fra la matrice realistica e quella paradossale (o è solo colpa della solita maschera di Jack Nicholson? Il primo ed il secondo tentato omicidio sono ironici o tragicamente assurdi?). Attori da plauso, su tutti David Morse, gigante con gli occhi da bambino e Robin Wright (moglie di Penn), donna dallo sguardo compassionevole. La materia è molto umana, commovente, sin troppo. Il regista dedica l'opera a Henry Charles Bukowski jr.