Drammatico, Streaming

ALCARRÀS

Titolo OriginaleAlcarràs
NazioneSpagna, Italia
Anno Produzione2022
Durata120'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Per generazioni, la famiglia Solé si è guadagnata da vivere con il raccolto estivo del suo pescheto nella città catalana di Alcarrás, ma dopo la morte del proprietario, il suo erede vuole vendere il terreno.

RECENSIONI

È fin banale dirlo, ma non è mai banale rimarcarlo, specialmente di fronte ad esempi cristallini come questo: il cinema, per Carla Simòn, è davvero una questione di sguardo, di punto di vista, di immedesimazione e immersione totale nelle cose e nei personaggi, prima che nel racconto. Tutto questo era evidente già in Estate 1993, commovente ritratto autobiografico ad altezza di bambina, in cui l'universo (e il dramma) ci veniva mostrato rigorosamente attraverso gli occhi della giovanissima protagonista, tanto che delle informazioni e degli argomenti appartenenti al mondo degli adulti (la malattia, la morte) non captavamo che brevi frammenti, spesso neppure immediatamente decifrabili. E naturalmente lo è ancor di più in Alcarràs, opera seconda che dimostra già una maturità linguistica invidiabile, che quei punti di vista li moltiplica, li fa incontrare e scontrare, li studia mentre sono costretti a relazionarsi con la fine.

Schivando agilmente ogni forma di schematismo e artificiosità, Simòn osserva i suoi personaggi con discrezione, riesce a cogliere sguardi e gesti che spalancano un mondo, cerca (e trova) un naturalismo e una luce capaci di modellare i corpi e le emozioni degli attori - tutti non professionisti - in modo limpido e trasparente. Da qui la malinconia e la rassegnazione dell'anziano Rogelio, la furiosa testardaggine del padre Quimet - contrapposta alla capacità di adattamento del cognato Cisco -, la rabbia del figlio adolescente Roger (che si riversa ora nella spinta alla protesta contro il trattamento sempre più indecoroso del mercato agricolo da parte della politica ora in gesti di ribellione contro l'autorità paterna), lo spaesamento della di lui sorella, Mariona, impegnata nella preparazione di una coreografia per la danza alla festa del paese (peraltro su una canzone dal ritornello beffardo: «La patrona soy yo»); e poi le generazioni future, di nuovo i bambini, il cui gioco apre, punteggia e chiude il film, e non si ferma neppure davanti all'ingresso della ruspa-mostro nella proprietà (bellissimo il campo lungo nel finale, sospeso com'è tra apocalisse e speranza).

Perché non è certo la fine del mondo quella messa in scena dalla regista spagnola (cresciuta però in un paesino della Catalogna), ma la fine di un mondo, una fine che si materializza nella distruzione di un terreno ricevuto in dono molti anni prima - fu un regalo per aver salvato delle vite dagli orrori della Storia - sul quale la famiglia Solé (nomen omen) ha costruito per decenni il suo sostentamento e che ora deve essere raso al suolo perché il presente impone l'installazione di pannelli fotovoltaici. E quindi la fine di una tradizione, di un lavoro, di una competenza, di un'unione affettiva, di una stabilità; una fine che rompe il rito della quotidianità e spalanca le porte all'incertezza, e che come nel bell'esordio dell'autrice, arriva ancora una volta d'estate. In questo spazio di transizione colmo di inquietudini, il passato giunge al capolinea e il futuro irrompe con decisione e prepotenza; come i membri più adulti della famiglia Solé, siamo tutti impotenti al cospetto del Tempo e della Storia.

Giusto e interessante Orso d'oro della 72esima Berlinale; quella del 2022, la prima edizione in presenza dopo l'apocalisse, vissuta da tutti e come il resto del mondo, con la nostalgia per ciò che è stato, la disperazione per quel che è, e la paura di quel che sarà; c'era chi, testardo e immobile, provava a resistere al cambiamento, chi faticava ad adattarsi, chi se ne fregava, chi scompariva. Era febbraio, sembrava un'estate.