SOULBOY

Titolo OriginaleSoulboy
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2010
Genere
  • 67244
Durata82'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Musiche

TRAMA

Stoke-on-Trent, 1974. In un’Inghilterra sconvolta da una grave crisi politica e da violenti scontri sociali, Joe è intrappolato in una vita monotona, finché non conosce Jane che gli apre le porte del Wigan Casino, patria del northern soul. Per Joe il mondo sembra finalmente rivelarsi al ritmo di una musica che è già simbolo di una cultura; grazie a Mandy, che lo istruisce nel ballo e lo introduce al nuovo stile di vita, diventa presto un vero soul boy. Sempre più affascinato e immerso nell’universo del Wigan Casino, Joe si troverà a dover affrontare l’ambiguo rapporto creatosi con Jane e Mandy. (dal catalogo del 28º TFF)

RECENSIONI


Marcus, all'opera seconda, cerca la via di un cinema che si direbbe easy viewing: opera facile di modernariato pop, con ironiche rivisitazioni di luoghi comuni innestate in una impeccabile ricostruzione filologica di tempi andati.
Gli ingredienti:

1) l'omaggio a un luogo di culto (il Wigan Casino, meta rituale dei Soulboys consacrata al Mito) e a un'era, resuscitata da una minuziosa operazione di ricerca di costumi, scenografie e, ovviamente, soundtrack;

2) ogni stereotipo possibile del film di formazione (dove adolescenza significa ricerca di trasgressione e riconoscimento, dove c'è un migliore amico incapace di gestire il passaggio, dove ci sono due ideali di donna che saranno tappe di un avvenuto percorso di maturazione, etc) applicato al cinema incentrato sulla danza, vero e proprio genere riconoscibile, con i suoi topoi ben definiti (la volontà di sfondare, la delusione iniziale, il duello finale con la sacrosanta consacrazione del protagonista);

3) ironia, che si manifesta o in affettuose trasgressioni degli stereotipi o in quella eccessiva densità di luoghi comuni che si trasforma in consapevolezza umoristica. I numeri musicali, solitamente il fulcro di questo particolare cinema delle attrazioni (si pensi, ad esempio, a un oggetto decerebrato e spettacolare come Step Up 3D), vengono così messi in scena con coscienza retrò e sorridente malinconia, non lesinando in goffaggini o in momenti di virtuosismo decisamente sopra le righe, al limite della caricatura.

Quel che ne esce è un film che procede con leggiadria nella sua automaticità, fiero della propria prevedibilità e di quella dei suoi caratteri, noncurante della necessità di inventare alcunché, intento invece a giocare con formule note, nei limiti della ricostruzione d'epoca e nell'ancoraggio divertito al genere. Tutto qui. E tutto ben fatto. Ciò non toglie che, per chi scrive, sia di interesse pressoché nullo.