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TRAMA
Nel 1979 la dittatura militare al potere in Argentina impone la chiusura di La Casualidad, una miniera di zolfo situata al centro della cordigliera delle Ande a 4200 metri di altitudine. Un solo uomo è rimasto a La Casualidad, tra le rovine e i ricordi, a duecento chilometri dalla città più vicina. (Dal catalogo del TFF)
RECENSIONI
Il giovanissimo Vincent Le Port, classe '86, orchestra, in bilico tra cinema-verité e lirismo nostalgico, una dimessa danse macabre tra i ruderi di una miniera argentina chiusa dalla dittatura. La superficie è documentaria ma l'endoscheletro è pura (e discutibile) fiction: non esistendo nè La Casualidad né l'ultimo minatore, la ghost story non riconciliata di Le Port si limita ad offrire il ritratto allegorico di un superstite esemplare, reduce dalla (presunta) fine del lavoro, tracciandone, con una certa auto-indulgenza, il routinario andirivieni e le premure ormai prive di senso - René Duran è l'unico abitante di una città morta, il solo lavoratore di una fabbrica abbandonata, rimasto in un deserto di ruggine e oblio a ballare, al ritmo dell'immortale fingerpicking di John Fahey, con gli altri abitanti invisibili de La Casualidad. Il mediometraggio di Le Port, apprezzabile negli intenti e nelle scelte estetiche (pur sempre tra gli inamidati limiti del corretto), ha il difetto di dilapidare le poche suggestioni in un'eccesso di metraggio, con i volteggi di Duran a ridondare in eco non necessarie.