TRAMA
In un piccolo paesino della Sicilia, a inizio anni 80, due ragazzi, Gianni e Nino, si incontrano per caso e si innamorano.
RECENSIONI
Quando comincia il mondo
A un certo punto di Stranizza d’amuri, mentre è sulla lunga, silente via di casa, Gianni (Samuele Segreto) viene distratto da uno scoppiettio fuori campo. Sono i fuochi d’artificio che, a una distanza indefinibile, Nino (Gabriele Pizzurro) e suo padre stanno facendo vibrare nel cielo notturno. Forse è la prima volta che li vede, Gianni, o forse è la prima volta che li vede dopo essersi innamorato. Solleva il braccio e porta davanti a sé il disegno dei fuochi realizzato da Nino, piccole linee colorate che si sovrappongono ai fireworks (titolo internazionale del film) sfidanti l’oscurità. Dietro ai fuochi d’artificio si nasconde un racconto, una comunicazione precisa; sono luci che parlano, gli ha detto Nino: è un messaggio segreto, quello che sta esplodendo nel cielo, sotto gli occhi di tutti, ma rivolto soltanto a lui? E non sta forse accadendo quello che succede quando si ama, riamati, e un abbozzo su carta, bianca, fragile e insignificante, prende vita, diventa qualcosa di imponente, di maestoso, di reale? Gianni sorride e la scena si conclude. Stranizza d’amuri, esordio alla regia cinematografica di Giuseppe Fiorello, è costellato di momenti come questo. indugianti, in sospeso, intercapedini da cui affiorano, e poi erompono, barlumi emotivi, spiragli, vertigini sentimentali. Il melò che si addensa su uno specchietto retrovisore, un bambino dallo sguardo crudele appollaiato su un albero, malelingue invisibili che sono un unico, grande sussurro ineludibile e disarticolato tra le case ordinate e immobili, con la sua carica contagiosa, la sua indignazione impaurita e fatale. Immagini che ne custodiscono, ne contengono altre: sono scrigni i frammenti clou (il ribaltamento di segno dei fuochi d’artificio stessi, che verso la fine scoppiano come colpi di avvertimento, ad annunciare la tragedia) ma pure i fegatelli, i lampi di stallo ambientale, i tocchi di colore narrativo (il mestolo tenuto fra i denti, che dichiara la concretezza del nuovo ecosistema affettivo raggiunto da Gianni). Soprattutto, lo sono le attese: l’adolescenza e il suo nitido romance, per Fiorello, è uno spasimo delicatamente trattenuto, è, appunto, l’attesa che qualcosa deflagri, in un quadro rigido (la Sicilia anni 80) che non sa ricevere tumulti, che fa secolare resistenza a uno smottamento - ed ecco Gianni e Nino mentre aspettano di liberare i fuochi ma vengono bloccati da una processione religiosa, e la osservano, isolati, in differita rispetto a tutti e a tutto il resto.
Carnefice, insomma, è quanto li contiene, un universo culturale che i caratteri secondari - dalla madre-padrona-vittima-amante al gay represso che è se stesso solo violentemente - assorbono e manifestano (la famiglia di Nino, all’inizio la più accogliente, poi la più barbara) a loro insaputa. Il giudizio, la tesi cattedratica a Fiorello non interessa, e lo capiamo quando decide di chiudere il suo film bruscamente, rivelandone la verità - la vicenda di Stranizza d’amuri è ispirata al duplice delitto omofobo avvenuto a Giarre il 31 ottobre 1980 - soltanto allo scoccare dell’ultima inquadratura. Quando il mondo, semplicemente, finisce, e non c’è più null’altro da sentire. È in questa scelta di campo, nella direzione attoriale (oltre ai luminosi protagonisti Pizzurro e Segreto, strepitose le facce e le presenze di Antonio De Matteo, Simona Malato, Fabrizia Sacchi, Giuseppe Lo Piccolo…), nella scrittura visiva, nell’indietreggiare dalla didascalia, che Fiorello compie il piccolo miracolo di disciogliere in un’opera pregevole una confezione che si sarebbe potuta immaginare tendente a modi e forme della fiction. E invece.
