Drammatico, Recensione

CONTRE TOI

Titolo OriginaleContre Toi
NazioneFrancia
Anno Produzione2010
Durata80'

TRAMA

Dopo essere stata sequestrata per qualche giorno, la ginecologa Anna, liberatasi, denuncia la cosa alla polizia. Ma la sua vita è ineluttabilmente cambiata.

RECENSIONI

Anna è una donna sola: il ritorno a casa, dopo l'esperienza del sequestro (di cui nessuno si è accorto), lo sancisce inequivocabilmente, il suo isolamento quotidiano pesa sulla donna alla pari del trauma che la violenta esperienza le ha provocato. Il film racconta la duplice presa di coscienza (della sua vecchia solitudine, della sua nuova paura) attraverso un graduale cumulo di informazioni: il ritorno a casa, l'assenza ingiustificata al lavoro, il racconto mendace delle vacanze, la luce accesa sul comodino, il sobbalzo al minimo rumore, la deposizione nell'ufficio della polizia; da quest'ultima diparte il flashback che ricostruisce il rapimento, la segregazione, il rapporto con il carceriere e il modo in cui esso si è sviluppato. Rapita per una vendetta legata al suo lavoro, Anna instaura con il rapitore, un uomo solo quanto lei, un controverso legame che, da difficoltoso e violento, diviene sempre più confidenziale e diretto, fino alla riconquistata libertà. Tutto è però avvolto nell'incertezza: il racconto è fatto dalla donna e riporta il suo personale punto di vista sulla vicenda, non sappiamo quanto alterato e quanto aderente all'effettività dell'accaduto; dunque i dubbi della polizia diventano anche quelli dello spettatore, stante l'ambiguità della stessa modalità di liberazione così come ricostruita (una porta lasciata aperta: per caso? Per calcolo?). La sospensione del giudizio sulla faccenda viene reiterata dal comportamento successivo della donna che tenta di rimettersi in contatto con il suo rapitore: trovatolo i due si accoppiano, ma una notte Anna ritorna al commissariato e denuncia l'uomo che giace dormiente nel suo letto. Lo fa arrestare.

La Doillon lascia a chi guarda la possibilità di giudicare se vi è stata un'effettiva infatuazione da sindrome di Stoccolma da parte della donna, a cui è seguita una presa di coscienza, o se la relazione post sequestro è stata strumento necessario e premeditato per ottenere la cattura dell'uomo. Il film gioca molto sulla sospensione dei toni, sulla laconicità dei dialoghi, alimentando le perplessità, facendo leva su di esse in modo palesemente calcolato. Alla rigidità delle soluzioni nella rappresentazione di questa inversione di ruoli (da vittima a carnefice) si aggiunge una sceneggiatura non all'altezza dell'ambizione, stante la sostanziale attenzione nella costruzione del personaggio femminile, dell'abito di freddezza e cinismo che è riuscita a cucirsi addosso e, per contro, la sciattezza del tratteggio del personaggio maschile, pura funzione narrativa, completamente assoggettato allo sviluppo della figura protagonista. La prima parte, complice il carico di interrogativi che si porta dietro, ha persino una sua forza, la Doillon sfruttando bene il vuoto scenico della prigione che metaforizza la condizione esistenziale della donna, l'abbacinante monocromia delle pareti per esaltare la dimensione solitaria di Anna, ma la seconda parte è fiacca e banale, precipita gli eventi, conduce i personaggi ad evolvere a tappe forzate, suonando stonata e scomposta, vantando l'unico guizzo nel finale. Kristin Scott Thomas, pur brava, sembra definitivamente condannata alla media produzione francese nel ruolo indeclinabile della signora borghese problematica e tormentata.