Commedia, Recensione

CYRUS

Titolo OriginaleCyrus
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2010
Genere
Durata91'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Divorziato da sette anni, John incontra Molly. La loro storia incontra un ostacolo: Cyrus, il figlio di lei.

RECENSIONI

John è un uomo che non ha mai imparato a stare da solo: divorziato da anni, non si è mai ripreso dall'abbandono della moglie (/madre/confidente) alla quale si sente indissolubilmente legato e dalla quale ancora dipende psicologicamente. L'incontro con Molly fa collidere fatalmente due solitudini differenti nella fisionomia, ma similari nelle esigenze: entrambi alla ricerca di una relazione seria e profonda, entrambi disponibili a mettere in gioco il sentimento, entrambi con un carico esistenziale da calare sul tavolo solo al momento opportuno (l'incipit scopre quello di John, il seguito rivelerà quello della donna). Cyrus, il figlio di lei, è un giovane bambinone che riproduce specularmente, ma in chiave post-adolescenziale e cosciente, il modello umano di John: un ragazzo che non aspira all'autonomia, che si aggrappa in ogni modo alla madre (/moglie/ confidente) e che è pronto, esattamente come John con l'ex consorte, a mandare a monte il nuovo idillio di lei pur di imporre e soddisfare la sua infantile fame di attenzioni. John e Cyrus sono facce della stessa medaglia: divisi tra la voglia di fare i duri e la necessità di mettere a nudo i sentimenti, imbranati di fondo - ma quando serve non privi di iniziativa e attitudine all'azione -, creativi, immaturi, egoisti, arrivano a trovare un punto di equilibrio solo di fronte all'estrema ratio di una effettiva infelicità generale e alla necessità conseguente di porvi rimedio.

L'idea di una lotta psicologica da giocare a carte scoperte solo tra i due protagonisti maschili, mantenendo, rispetto allo sguardo esterno di Molly, i loro rispettivi ruoli e le debite distanze, se offre qualche spunto vivace, d'altra parte rimane solo un abbozzo, preferendo il film prendere la strada rassicurante del placido meccanismo brillante con riflessioni umane incorporate, lasciando inespressi molti spunti e fidando troppo sul realismo delle risultanze, al netto dei paradossi e degli eccessi rappresentativi che il genere impone. E' un peccato, perché l'idea sulla quale il lavoro si fonda meritava qualche approfondimento in più e qualche ossequio alle formulette in meno. I registi, andando di vacillante camera a mano e ampie zoomate, in odor di rivendicata indipendenza e di cinema veritiero, secondo il consolidato canone della bibbia low-budget, lasciano che i dialoghi si impadroniscano del film, che gli attori (tutti bravi; la Tomei merita di più da sempre) si mettano in debita evidenza, che la commedia minimalista, ripiegata sull'atmosfera e a problematicità ridotta, si sviluppi con onestà incolore e senza particolare brio.

Ridley e Tony Scott producono gli indipendenti fratelli Duplass, fattisi notare con il loro esordio al Sundance (The Puffy Chair): l’opera, girata in digitale, cerca l’improvvisazione degli attori con costi vicini allo zero e possiede idee tragicomiche brillanti, su tutte quella della figura di Cyrus, con scelta perfetta dell’attore che lo interpreta (Jonah Hill). Insieme inquietante e divertente, è una figura paffuta che si comporta come un adulto (fa gli onori di casa, dispensa istruzioni a madre e nuovo fidanzato) ma possiede la testa di un bambino cui tolgono la caramella: rivelazione che i registi riservano più avanti, dopo una serie di dettagli (le scarpe sparite di John) e un’ottima direzione della sua recitazione, ambiguamente collocata fra psicopatia (il film, ad un certo punto, potrebbe trasformarsi in thriller) e candore fanciullesco. È inquietante anche il rapporto che ha costruito con la madre, rendendola ad esempio complice del suo hobby, scattare fotografie della natura nel parco per trovare ispirazione per le sue composizioni techno-new age al sintetizzatore (spassosa la sua esibizione tutta convinta). L’opera parte come commedia alla Woody Allen, con John C. Reilly nel ruolo dell’ebreo perdente, diventa alla Alexander Payne fra notazioni sagaci, delicate amarezze e stravaganze sottotono (la guerra segreta fra i due maschi di casa) ma, fatta la tara di questo modo di girare che ostenta, più che cavalcare, la macchina a mano (frequente e gratuito lo stilema di piccoli zoom impercettibili in cerca di un posticcio stile amatoriale), purtroppo porta a compimento la trama in modo scontato, con un copione che perde naturalezza per seguire la tesi edificante (i figli gelosi delle madri finiscono per perderle comunque).