Drammatico, Recensione, Sala

VERA

Titolo OriginaleVera
NazioneAustria, Italia
Anno Produzione2022
Durata115'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Vera vive all’ombra di un padre famoso. Stanca della propria vita e delle proprie relazioni superficiali, vaga nell’alta società romana. Quando, in un incidente automobilistico in una zona di periferia, ferisce un bambino di otto anni, inizia con lui e con suo padre un’intensa relazione.

RECENSIONI

Chi è Vera Gemma, creatura lunare che si aggira per Roma tra eventi mondani e periferie desolate in fuga da se stessa su un’auto con conducente?
Una figlia d’arte che ha vissuto all’ombra di un padre amorevole e bellissimo a cui è sempre stata paragonata in negativo?
Un’artista alla ricerca di un modo per esprimersi e di una propria identità?
Una mitomane ossessionata dal culto della bellezza?
Una privilegiata incapace di godere appieno del proprio status?
Biancaneve travestita da strega?

Quello che Tizza Covi e Rainer Frimmel costruiscono non è un documentario, ma nemmeno un film tradizionale, bensì un esperimento teso alla ricerca della verità attraverso un personaggio cucito addosso a una persona reale. Lei è Vera Gemma, figlia del celebre attore Giuliano Gemma, attrice e personaggio televisivo dal look eccentrico (inseparabile il cappello da cowboy), nata in una famiglia in cui non essere bellissimi era considerato un peccato mortale. Un giudizio subìto fin dall’infanzia, quando la madre impose a lei e alla sorella di rifarsi il naso, che ha finito per condizionare in modo catastrofico il percepito di sé, sempre un passo indietro rispetto alle aspettative altrui, tarate su un modello irraggiungibile. Quello che i due registi costruiscono è un percorso di riscoperta di sé che deve la sua forza a un approccio sofisticato, all’assenza di giudizio e alla centratissima e irresistibile protagonista, un concentrato di candore e disincanto, chiamata non a essere se stessa, ma a interpretare se stessa: c’è una sceneggiatura, ci sono delle battute, non è tutto improvvisato come potrebbe sembrare. Un progetto originale, a metà strada tra lo scavo antropologico e lo psicodramma, che trova nella finzione quella verità che la realtà, sotto il peso di un personaggio ingombrante, avrebbe faticato a fare emergere. L’espediente consente quindi di arrivare alla persona che si cela dietro alle sovrastrutture che la nascondono e mostra le incredibili potenzialità della macchina da presa. Un’operazione, e questo è l’unico suo limite, che acquista valore conoscendo il personaggio pubblico e il suo vissuto, mentre rischia invece di essere fraintesa, o poco capita, senza appigli di riferimento, anche solo per l’effetto stridente della recitazione di alcuni non attori. Il cinema è protagonista trasversale e non invadente, se ne captano bellezza (del passato) e decadenza (del presente).
Il film è stato presentato al festival di Venezia nella sezione “Orizzonti” dove ha vinto il premio per la regia e per la migliore attrice protagonista.