Drammatico

ONDINE

Titolo OriginaleOndine
NazioneIrlanda/ U.S.A.
Anno Produzione2009
Genere
  • 67257
Durata99'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Syracuse, un pescatore irlandese con un passato da alcolista, trova nelle sue reti una bellissima e misteriosa ragazza che dice di chiamarsi Ondine (che è il nome di una sorta di ninfa acquatica, o sirena, della tradizione folklorica europea). La figlia dell’uomo, affetta da una disfunzione renale che la rende parzialmente disabile, si convince che la ragazza sia effettivamente una creatura magica. Le cose però non stanno esattamente così.

RECENSIONI


Lungamente atteso, il sedicesimo lungometraggio di Neil Jordan viene distribuito in questi giorni in dvd, a più di un anno dalla prima proiezione pubblica al Festival di Toronto del 2009. Il primo motivo d’interesse risiede innanzitutto nel fatto che Ondine è il primo film diretto a partire da un soggetto pienamente originale dai tempi di The Miracle (Un amore forse due, 1991) e The Crying Game (La moglie del soldato, 1992), due delle opere più riuscite del regista irlandese. Da quei film sino ad oggi, infatti, le pellicole di Jordan sono state in larga parte adattamenti di romanzi o, come nel caso del precedente The Brave One (Il buio nell’anima, 2007), dirette a partire da soggetti non scritti dall’autore. Il secondo motivo d’interesse è il ritorno ad una produzione più contenuta e soprattutto interamente realizzata in Irlanda, madrepatria dell’autore e sua fonte apparentemente inesauribile d’ispirazione.
Il film viene scritto da Jordan in un periodo non felice, caratterizzato dal fallimento del costosissimo progetto di portare sullo schermo le vicende di Borgia e la successiva decisione di dirigere su commissione The Brave One, scritto appunto da altri e per il quale Jordan si trova per la prima volta a girare in una grande città americana. Ondine rappresenta quindi il ritornare ad una dimensione più familiare ma anche, ci sembra, l’ingannare l’attesa di progetti più sentiti o inseguiti (l’adattamento di The Graveyard Book di Gaiman e finalmente The Borgias, resuscitato sotto forma di serie televisiva). Se infatti non si fa fatica a ritrovare molti dei temi cari al regista, molte delle costanti del suo cinema e anche volti noti (Stephen Rea, qui al nono film con Jordan, che interpreta il prete cattolico del piccolo villaggio della contea di Cork, zona nella quale il film è ambientato e girato), l’impressione generale è comunque quella di un film realizzato senza troppa ispirazione, ma non per questo poco interessante.


Come spesso accade nei film del regista irlandese, vi è un approccio profondamente metanarrativo, affidato qui al rapporto tra Syracuse e la figlia disabileAnnie, che si sente raccontare come fosse una favola l’incontro tra il padre e la misteriosa ragazza giunta dal mare. La prima sequenza che vede i due assieme, in occasione della dialisi a cui la bambina è costretta e durante la quale il padre l’assiste, inizia con una domanda di Syracuse: “Niente di strano o di bellissimo?”, domanda alla quale la piccola reagisce con apparente rassegnazione, prima di abbandonarsi, poi, alla speranza che la venuta della donna possa rivelarsi effettivamente un evento miracoloso, qualcosa finalmente appunto di strano e bellissimo. Lo studio forsennato a cui la bambina si sottopone per provare la sua teoria (ovvero quella che Ondine sia una selkie, una creatura mitologica della tradizione scozzese, sorta di incarnazione umana di una foca, che può seppellire il suo manto e vivere sulla terra con un uomo fintantoché non lo dissotterra, richiamata dal mare) vuole, a tutti gli effetti, razionalizzare l’avvenimento, cercare di inserirlo a forza nella sua vita di bambina malata, figlia di genitori divorziati e poveri, con madre alcolizzata e un patrigno che, per quanto si sforzi, non riesce a farsi amare da lei. Vuole far entrare, in quel “real quotidian world […] the one we have to live in” (come dice al prete nel finale) il miracolo, perché questa fata-foca può avere il potere di donare non solo al padre la felicità, ma soprattutto a lei la salute. Quando, fiutando che quello che il padre racconta non sia una semplice favola (perché “davvero una stupidaggine”, come gli dice), Annie si reca alla casa della nonna e lì incontra Ondine, la prima cosa che le chiede è infatti se ha il potere di farla guarire. Questo luogo, la casa della nonna (ormai morta), di grimmiana/perraultiana memoria (non solo l’amato Cappuccetto Rosso, ma anche Biancaneve, come nota Annie dopo che nota che Ondine vi ha fatto le pulizie), si fonde con un altro grande testo della letteratura fantastica, caro a Jordan e da lui spesso direttamente o indirettamente citato, ovvero Alice nel paese della meraviglie. “Curiouser and curiouser”, ripete Annie citando consapevolmente Alice  quando segue di nascosto il padre fino lì e successivamente quando si trova a veder uscire la ragazza dall’acqua di fronte all’abitazione: come nel romanzo di Carroll, e come in tutti i film di Jordan, il fantastico e il reale sono in una condizione non opposta, ma di prossimità, la strada che conduce alla casa, spesso ripresa dall’alto con ampi movimenti di gru è come l’ingresso della tana del Bianconiglio e l’acqua, come in In Dreams soprattutto, ha una funzione di soglia tra mondi, addirittura tra vita e morte. Proprio la casa della madre di Syracuse assume così la dimensione di un luogo magico, di un luogo che appare quasi generato, come la ragazza che ora lo occupa, dalle parole dell’uomo mentre racconta del ritrovamento alla bambina, e che Jordan ci mostra appunto nel corso della scena della dialisi alternarsi ai primi piani di Colin Farrell e della piccola Alison Barry. Un luogo che l’uomo riempie per colmare il vuoto lasciato dalla morte della madre, di cui Ondine indossa inizialmente gli abiti, e che Annie riempie invece delle speranze di una vita migliore (e il doppio investimento emotivo nei confronti di quella casa e della sua occupante è reso perfettamente da Jordan nel percorso parallelo della figlia e del padre mentre vi si recano separatamente, lei sulla carrozzina elettrica, lui sull’auto). L’evento “miracoloso” dell’arrivo della selkie è posto da Jordan all’inizio del film, in una sorta di ribaltamento di ciò che avveniva in The Miracle, nel quale invece l’apparizione dell’elefante, causata dal potere demiurgico del personaggio di Rose, la quale sembrava quasi prendere in mano la narrazione stessa del film dal suo interno, chiudeva l’opera.


Qui ci si trova all’interno di una dimensione maggiormente favolistica, meno legata al concetto cristiano di miracolo (il confessionale è, per Syracuse, un semplice sostituto di un centro di ascolto per ex alcolisti), che viene però da Jordan razionalizzato passo dopo passo: la sirena è un corriere della droga, la pelliccia della foca è lo zainetto che nasconde gli stupefacenti, il canto che attira prodigiosamente i pesci è in realtà una canzone deiSigur Rós, l’acqua non nasconde altri mondi ma, se all’inizio del film è segno di una rinascita, finisce alla fine per essere luogo di morte (e fa per inceppare la carrozzina). E così, la leggenda della selkie, che serve ad Annie e Syracuse come falsariga favolistica ed illusoria degli avvenimenti, finisce per diventare in realtà la chiave di lettura che consente al protettore della ragazza di comprendere che fine abbia fatto l’eroina. L’apparizione di Ondine però compie effettivamente il miracolo, mettendo in moto, proprio come in The Miracle, una serie di avvenimenti che portano alla guarigione di Annie, la quale riceve gli organi in dono dal patrigno, morto nell’incidente causato dal protettore di Ondine, venuto a cercarla nel paesino irlandese. Il miracolo è, ancora una volta, qualcosa che non dipende dalla magia, dalla favola, dalla religione. Non è qualcosa che sta dentro la vicenda, ma che viene da fuori, è qualcosa che solo il narratore può compiere, lasciando ai suoi personaggi il potere di sperare, di credere, d’immaginare e inventare. Eppure è proprio in chiusura, con uno smaccatissimo happy end (peraltro ricorrente nel cinema del regista) che Jordan sembra voglia suggerire che se Ondine è una favola, essa vada letta al contrario, e che il luogo magico sia proprio il paesino irlandese, così magnificamente fotografato da Christopher Doyle, nel quale Ondine/Joanna torna alla vita fuggendo dal suo real quotidian world we have to live in, carico di tutto il suo dolore e violenza.

Matteo Pollone