Commedia

DREI

Titolo OriginaleDrei
NazioneGermania
Anno Produzione2010
Genere
Durata119'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Hanna e Simon sono una coppia mondana, che ha vissuto assieme per anni. Lavoro, amore, sesso e quotidianità si sono ormai amalgamate in una belligerante armonia. Poi Hanna incontra Adam. E Adam incontra Simon. Inaspettatamente, i tre si innamorano. Hanna e Simon non sanno della relazione dell’altro. Ma il segreto comincia lentamente a confondere tutti e tre gli amanti, e minaccia di spezzare i fragili legami della coppia.

RECENSIONI


Buttandola sugli stereotipi culturali si potrebbe ironizzare sul fatto che se i tedeschi provano ad atteggiarsi a spagnoli, non ce la fanno comunque a essere leggeri. Scendendo più in profondità, e accantonando i luoghi comuni, bisogna comunque riconoscere che se le intenzioni di costruire una commedia ben radicata nel presente, in grado di toccare corde intime, è apprezzabile, la strada percorsa dall’eclettico Tom Tykwer non centra il bersaglio. La sua visione procede infatti per accumulo e manca di un amalgama effettivamente problematico e comunicativo. Tanti spunti si intersecano, sia tematici che formali. Il racconto della ritrovata complicità di una coppia di quarantenni, un po’ appannata dalla routine, passa attraverso la malattia, il sesso, la scoperta di nuove pulsioni, il desiderio di diventare genitori, i riferimenti all’attualità sempre in evidenza. Ma la complessa miscellanea sfocia in digressioni buttate un po’ lì: l’ossessione per i numeri della madre del protagonista (tra l’altro presenza fantasmatica grottesca), i dettagli anatomici dell’operazione al testicolo in bella vista, il balletto a tre che apre il film. Anche la forma finisce per soggiacere a tale visione, sulla carta aperta al nuovo e progressista, alla resa dei conti sconclusionata e ben poco organica: lo split screen, il saltuario bianco e nero anticato, le didascalie.


Al di là di tutto, però, le carenze maggiori sono a livello narrativo. Le frequenti coincidenze sono sicuramente intenzionali, ma riuscire a far digerire allo spettatore che in una città come Berlino, con tre milioni e mezzo di abitanti, per puro volere del destino sia lo stesso uomo a diventare l’amante sia della parte femminile che di quella maschile della stessa coppia, beh, è davvero troppo. E sui relativi equivoci si gioca buona parte della seconda parte del film, fino all’inevitabile incontro/scontro che perde così in partenza tutta la sua efficacia. Tra mostre d’arte,  vernissage, cinema d’essai, spettacoli teatrali, birre al pub e tuffi in piscina, gli inquieti protagonisti borghesi girano a vuoto per buona parte della pellicola, senza riuscire a tradurre le loro incertezze in un vivido sentire. Anche l’interessante discorso sull’abbandono dell’”identità biologica determinista”, come auspicato da uno dei personaggi per liberare la possibile preda dal laccio della razionalità, sfuma in un improbabile triangolo risolutivo che mette la parola FINE a un film carico di buone intenzioni, ma decisamente superficiale.