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VIDEO DELL’ANNO 2022 – TOP 20

Come di consueto, la seconda parte dello speciale sui video dell’anno è dedicata alla top 20, con tutti gli addentellati (artista, regista etc) e chiusura su lunghissimi titoli di coda.

Buona lettura, buona visione.

#20
Du Sang Du Singe (La Jungle)
diretto da Alex Orma

Video del contagio, assolutamente in (covid) time, un po’ living dead style, un po’ citante Traktor (Ya Mama di Fatboy Slim) e lo Jonathan Glazer di Strasbourg 1518, mescola alla perfezione idea, racconto e coreografia (di Brandon Lagaert della adorata compagnia Peeping Tom – come dire il top del teatrodanza mondiale -), con una varietà di situazioni e uno sviluppo coerente e inventivo. Una cosa lavorata e d’impatto, molto old school.

#19
Supermodel (Måneskin)
diretto da Bedroom, Ben Chappell

Una delle mie repliche preferite a coloro che denigrano i Måneskin per il puro gusto di farlo (gioventù e talento in Italia rimano con devi morire) è che se la cover di Beggin’ l’avessero fatta gli Arctic Monkeys staremmo tutti lì a leccarci i baffi. E che fanno i quattro? Si affidano a Bedroom (Soren Harrison e Amir Hossain – quest’anno anche questo e questo-) + Ben Chappell (come dire Focus Creeps, il sodalizio AM per eccellenza) e girano una cinefantasia anni 90, divertente e ritmata, citazionista senza pedanterie, con una bella varietà di situazioni-ambientazioni, un uso inventivo del freeze-frame e un’orgia di colori (tanto Gucci).
Loro sono già arrivati lì, chi non sta al passo, col tempo e la memoria corta ci arriverà tra qualche anno. Con calma, eh.


#18
Popular (M.I.A.)
diretto da Arnaud Bresson

Una videografia da manuale quella di M.I.A., dalla quale oramai non è lecito attendersi opere interlocutorie o di puro servizio. Non delude neanche stavolta, con un concettuale firmato da Arnaud Bresson di sconvolgente semplicità, con l’artista che educa il suo doppio “popolare” a tenere alto lo standard social: un simulacro, quello consegnato alla rete, che è doppio robotico, finto, programmato, quasi zombiesco. Uno Io scimmiottato, una versione appiattita di sé che non ha spessore e asperità e che dunque incontra favore, condivisione, like. L’idea è una, ma posta in termini di così radicale frontalità da diventare meccanismo contemporaneo riconoscibile, uno specchio dei tempi. E nella sua veridicità, davvero inquietante.
Dal regista anche Heaven and Hell di Kanye West: una città avvolta dalle tenebre del giudizio universale è popolata da figure abbigliate di scuro, col volto velato, umanità che, davanti al verdetto divino, appare tutta uguale; le anime, redente o dannate, ascendono in cielo e ruotano attorno a un centro luminoso. Tra reminiscenze dantesche e immagini che congelano il finale in un’icastica fissità – a metà strada tra incisioni rinascimentali e enigmatici rendering –, i versi iniziali del brano «No more promos, no more photos, no more logos» suonano come una strategia commerciale alla rovescia: gli hoodie indossati dalle figure che animano il video, infatti, lanciano di fatto la combo tra Yeezy, la fashion griffe di West, e la linea d’abbigliamento Gap. Amen.

#17
Vampire (Dylan Fraser feat. Alaska Reid)
diretto da Trash Factory

Performativo che sottintende la narrazione, sfrutta al meglio la situazione (Fraser e Reid su una moto, uno dietro l’altro, duettano) e narra di una reciproca attrazione attraverso un uso strategico ed esteticamente seducente del dettaglio (messa in scena, direzione e montaggio wow). Il discorso vampiresco è insito nel testo ed esplicitato alla fine. Amo.
Fraser + Trash Factory lavorano stupendamente (e semplicemente) sulla performance anche nel teorico 2030 Revolution e soprattutto in Apartment Complex on the Eastside e It Took A Lot To Get To This (amo, ripeto).

#16
Beautiful Life (Michael Kiwanuka)
diretto da Phillip Youmans


È un talento precoce Phillip Youmans: nel 2019, a soli 18 anni, non è solo l’autore più giovane entrato nella competizione del Tribeca FF, ma anche il primo regista afroamericano a vincere il Founders Prize. L’anno dopo il Nostro debutta come videomaker con Interlude (Loving The People) di Michael Kiwanuka, che lo richiama per Beautiful Life, come il primo, un narrativo puro, senza performance, un altro saggetto d’autore (“A Film By Phillip Youmans”) la cui immagine ha la densità poetica del 16mm. Una storia che, dietro l’indagine realistica, cela uno scandaglio intimo: una festa in casa, un gruppo di adolescenti, una pistola, la roulette russa. Man mano che i ragazzi si passano l’arma pensano alla propria vita: il regista, gettando lo sguardo su un momento importante del passato prossimo di questi giovani, sembra quasi scavare nel loro animo, tentare di comprendere le ragioni della loro spinta al limite. Ma quelle che vediamo non sembrano esistenze infelici, come se l’insoddisfazione, il vuoto, l’aberrante sfida del gioco risiedessero in un recesso interiore invisibile, inesprimibile. Nell’incrocio temporale c’è il dramma: la vita da una parte (i flashback) e l’assurdità di una morte potenziale, insensata, gratuita nel presente. Il finale è doppiamente tragico: uno sparo fatale, l’insensibile corsa a documentarne l’esito.

#15
Untitled Us (ZNTNDR)
diretto da Jovan Todorovic

Storia d’amore e morte. Immagini ricorrenti, echi di significati che sottendono doppi inquietanti (la ragazza del protagonista è una copia dolce del suo violento migliore amico), come se il livello tragico fosse solo una possibilità o un dark side alternativo di quello romantico, con il finale che rilancia l’ipotesi. Messa in scena di prim’ordine, movimenti geometrici di una macchina da presa superconsapevole, umori di Wong Kar-wai e Leos Carax in trasparenza, fotografia pastosa di Oliver Millar (che assiste alla regia Jovan Todorovic, il 50% di ZNTNDR). Serie A.

#14
Sirens (Flume feat. Caroline Polachek)
diretto da Daniel Askill


Askill è un autore vero e dimostra come si possa  fare un videoclip dettando le proprie regole e senza compromessi, proponendo un possibile significato ulteriore rispetto a quello più evidente e, senza sbandierarlo, lasciarlo a chi lo intuisce: nel lungo, maestoso ralenti l’eterea, paradisiaca sirena (Caroline Polachek) si avvicina al Flume motociclista e lo attira a sé riportandolo in vita. Sembra un’inversione del mito greco, ma a ben riflettere il punto è proprio quello: la scena potrebbe essere in reverse e il concept, considerato al contrario (provate a scorrere il cursore partendo dalla fine): la sirena non lo salva, lo uccide. Del resto il testo stesso parla di sirene in un duplice senso (si fa riferimento alle sirene delle ambulanze durante la pandemia). Lo conferma il seguito che parte proprio dal corpo esanime del protagonista e ne narra in flashback l’incidente mortale. Destinazione: Paradiso. Dal bellissimo album di Flume (e da quello che è a tutti gli effetti un ciclo, il mio preferito dell’anno) segnalo anche Say Nothing (feat. May-A) da Michael Hili, parabola sul proprio vendersi al sistema e sulla consacrazione al successo come rinuncia a se stessi, il tutto in forma di video ibrido che guarda, attraverso figurazioni simboliche, alle installazioni museali e alla videoarte (le creazioni sono di Jonathan Zawada, fedele all’appuntamento con Flume, linea visiva riconoscibile dei suoi artwork e con Hili, regista degli altri video del ciclo). Stupefacente il gioco sulle cromie che, oltre a dare carattere e incisività ai molti, originalissimi quadri, sembra ammiccare a una deriva lisergica del morituro protagonista.

#13
Ere We Go (Bourne)
diretto da Truman & Cooper

Forse il miglior narrativo dell’anno: una corsa senza soste, mille tappe e altrettante microavventure che narrano disagio, disordine, delinquenza & fuga dai problemi del giovane protagonista. Registro visivo realista, montaggio sincopato, trama di ansia (in)afferrabile e mix immagine-suono da sturbo.
Da Anthony Jorge & Jonathan Cohen-Berry (aka Truman & Cooper) anche questa serie.

#12
Fils De Joie (Stromae)
diretto da Henry Scholfield

Parata militare per il funerale di Stato di una cortigiana, ma le milizie sono decisamente alternative. Tutto giocato sulle scene di massa (solita CGI scholfieldiana, quindi coerente e miratissima) per animare una distopia disturbante per quanto confina col reale, tuttavia smentendolo (un delirio dittatoriale in forma di rivendicazione libertaria). Schofield al suo meglio (il coreografico di precisione geometrica), ma qui incrociando una vena kolossalista inedita e magnificamente gestita.
Non da meno (anzi) 2step altro coreografico per Ed Sheeran (feat. Lil Baby), col solito intelligente dispendio di una CGI evidente quanto creativa: Scholfield va dalla serializzazione di figure in odor di Gondry alla manipolazione degli ambienti senza nessuna remora, con una funzionalità al disegno complessivo che fa gridare al miracolo.  

#11
Queen (Todrick Hall)
diretto da  Roy Raz

Impossibile che Roy Raz faccia le cose tanto per: ogni suo video è un progetto che prevede molteplici idee disciolte in quadri grandiosi. Qui un sontuoso affresco camp in cui si iscrive la performance, con sottile linea narrativa (la biografia coreografata della drag Todrick): scenografie e costumi pazzeschi, molteplicità di set, ironia e spettacolo. Forse un po’ troppo lungo, ma niente che vada a inficiare la magnficenza del risultato finale. E comunque ogni dubbio si fuga, dato che il team bissa alla grande col successivo Pre-Madonna.

#10
Her (Megan Thee Stallion)
diretto da Colin Tilley

Performativo dell’anno: il bianco e nero, i chiaroscuri e la scenografia stilizzata fino all’invisibiltà citano Il Video Di Beyoncé, ma con un surplus di effetti speciali duplicativi, una coreografia da sturbo e un lavoro di concezione, tra geometrie e sincronismi, che levati.

#9
Secrecy Is Incredibly Important To The Both of Them (Yves Tumor)
diretto da Jordan Hemingway

Jordan Hemingway – regista e designer americano tra i più talentuosi (suoi i fashion movie Silent Madness per Mowalowa e Gucci Bloom con Jodie Smith, Angelica Huston e Florence Welch) – torna a Yves Tumor, per il quale aveva curato l’artwork videofotografico dell’album Heaven to a Tortured Mind. Secrecy Is Incredibly Important To The Both of Them connette più piani narrativi, quadri decadenti di visionarietà pura che, vivendo in simbiosi col trasformismo dell’artista, lo esaltano: un lavoro liberissimo, macedonia glam che armonizza intuizioni che altri registi userebbero per una dozzina di video. Da accoppiare a questo.

#8
Volume II (Sad Night Dynamite)
diretto da Lucas Hrubizna

Come in un incubo una serie di quadri o vignette in loop, condensati di clip possibili, frammenti di un promoimmaginario potenziale, un Holy Motors per videomaniaci. Bomba.

#7
Body Paint (Arctic Monkeys)
diretto da Brook Linder

Che Alex Turner sia un patito di cinema e un amante del linguaggio video si è sempre saputo (e poi quest’anno si dirige in questo), non sorprende allora lo spassionato omaggio alla celluloide e al montaggio analogico che ci fa tornare al bellissimo ciclo girato da Focus Creeps per il precedente album. Sequela di immagini di grana e colori fuori dal contemporaneo, un po’ infografica d’antan, un po’ ventaglio di film potenziali, tanti set performativi come in un’era pre-Mtv, una sarabanda di umori che Brook Linder mantiene nei suoi consueti confini di un videomaking che strizza l’occhio al film sperimentale, quello anni 70 a basso budget, tutto avanguardia e brevi sequenze, frammenti tenuti insieme dalla traccia musicale, come versetti di un poemetto visivo di Jonas Mekas fuori tempo massimo. Adorabile.

#6
Touch (Golden Features feat. Rromarin)
diretto da W.A.M. Bleakley

Si può fare un video realista – e questo Touch ne ha tutti gli elementi estetici e narrativi, dal racconto tuttoinunanotte (l’incontro con gli amici, le mattate, il rave), al pedinamento camera a mano, allo spaccato sociale implicito – senza rimanere ingabbiati nelle solite, prevedibili formule. Per cui: apertura improvvisa e quasi fuggevole di quadri coreografati, parentesi visionaria con sottinteso romcom e ambiguo duplice livello (fuga reale o solo desiderata?). Si aggiunga lo splendido lavoro registico (ne riparliamo in basso), quel rimanere attaccato al brano musicale, assoggettandovi sempre la narrazione. Mica roba da ridere, applausi.

#5
Case 143 (Stray Kids)
diretto da 725

Coreografico dell’anno: un’esplosione di set, idee, colori, senza complessi (Shining e West Side Story incontrano i balletti di una boyband), tra animazioni surreali, split-screen violati, citazioni di programmi adolescenziali e meta-youtube (il video in pausa e in reverse, con tanto di cursore che arretra – cazzarola! -), il duo registico 725 offre una narrazione interiore (i protagonisti, invasi dal sentimento, combattono con i dubbi – la polizia, il raziocinio -) con un’invenzione visiva al secondo, una danza sfrenata, amene assurdità a quintali, generi esplorati con spregio assoluto per l’ortodossia. Vabbè, me lo riguardo.
Making of.

#4
Water (Bicep feat. Clara La San)
diretto da Aoife McArdle

I due dj irlandesi si rivolgono alla connazionale Aoife McArdle, – artefice di video memorabili per Jon Hopkins, Bryan Ferry, U2, Coldplay, di un piccolo grande film (Kissing Candice) e coregista e coproduttrice della serie Apple Scissione – che  costruisce una narrazione ambigua, di logica solo intuibile e desunta dalle allucinazioni di una paziente, nel percorso, attraverso i corridoi di un ospedale, della barella nella quale è deposta. La corsa che pare infinita può essere interpretata, dunque, come messa in scena introspettiva, uno squarcio nella mente della protagonista, una rievocazione e rielaborazione distorta di esperienze e ricordi di vita vissuta. Sfruttando le geometrie degli interni, giocando con lo sfarfallio ossessivo delle luci stroboscopiche e con i riquadri delle porte delle stanze – aperture improvvise al colore, nel biancore accecante delle corsie – la regista offre allo spettatore un’intensa esperienza sensoriale in cui la tensione opprimente del racconto si riflette nella sua tessitura visiva. E, nello stesso tempo, fa aderire in modo miracoloso le immagini a quanto accade acusticamente nella traccia musicale: ogni volta che ascolto il brano penso alle immagini di questo video, non ho bisogno di aggiungere altro. Bomba.

#3
Still Life (RM with Anderson .Paak)
diretto da Bang Jaeyeob

Il vagone di un treno, un tragitto che copre un’attesa (Tempo) e una distanza (Spazio). Può sembrare un’acrobazia (intanto farla come Bang in questo clip), ma qui non si tratta solo di congelare il tempo e giocare con Motion Control, VFX e 3D, ma soprattutto di utilizzare questi strumenti per suggerire l’anomalia cronologica con quel glitch che corrompe le immagini del passato prossimo. E poi giocare con l’esibizione come su un piano puramente immaginativo, dove le circostanze diventano un mulinello di frammenti di realtà che vorticano sullo sfondo, quasi a rallegrarlo, a farne coreografico effetto. Una dimensione doppia (dentro e fuori di sé) quella vissuta da RM, suggerita anche dal riflesso sul finestrino – che prende vita e sancisce il dato visionario – e dalla soluzione semplice quanto efficace di alternare luce e buio, bianco e nero.
Da Bang Jaeyeob anche quest’altro gioiello per gli Stray Kids.

#2
Cash In Cash Out (Pharrell Williams feat. Tyler The Creator e 21 Savage)
diretto da François Rousselet

Reinvenzione in chiave contemporanea (trattasi di un video creato in CGI) di uno zootropio, il dispositivo ottico dell’era precinematografica che, facendo ruotare immagini sequenziali, crea un’impressione di movimento (cfr. il video di Jeshi diretto da Will Dohrn). Se la realizzazione è portentosa (con riproduzione minuziosa delle mimiche caratteristiche di Pharrel Williams,Tyler The Creator e 21 Savage e un uso “realistico” della camera), a fare la differenza è un’idea che seduce la mente, soggioga lo sguardo e induce, inesorabile al repeat. Bello e (concettualmente) immorale. Chapeau.

#1
D.M.B. (A$AP Rocky)
diretto da A$AP Rocky

Il clip di D.M.B. A$AP Rocky lo rivendica come debutto alla regia: in realtà in questi anni l’artista ha collaborato alla concezione di molti dei suoi video, anche cofirmandoli. Non a caso, al di là delle griffe coinvolte, la sua videografia vanta un’evidente continuità tematica, formale e poetica (la psichedelia sottile che impregna concetto e immagini), secondo coordinate ribadite in questo nuovo, esaltante lavoro. La sublime aderenza delle immagini alle suggestioni evocate da musica e testo, per esempio – come la patina vintage e le grumose cromie -, già innervava il miracoloso A$AP Forever (2018) diretto dal sodale Dexter Navy. Come quel promo, D.M.B. è un tour de force stilistico, testimonianza di un’ansia sperimentale che si traduce in soluzioni tecniche esperite per sbalordire, certo, ma mai puramente esibizionistiche, al contrario, di freschezza e puntualità espressiva vivificante. Se, infatti, nel 2015 Rocky e Navy firmavano L$D, video palesemente influenzato da Enter The Void di Gaspar Noé, in seguito il videodiscorso dell’artista, mantenendo il suo virtuosismo (si guardi Sundress di Frank Lebon, altro capolavoro), si smarcava da reference così ingombranti, rivendicando un’originalità e una forza comunicativa innegabili. D.M.B. fa tesoro di queste esperienze e mette in scena questo Ghetto Love Tale con una lucidità di linguaggio e una gioiosità immaginativa che oggi nel campo hanno pochi confronti. Componendo come un puzzle la storia e i suoi personaggi, usando come geniale cesello il sound design, Rocky corona il suo sogno d’amore con la compagna Rihanna in un florilegio di immagini vibranti di vita. Petali di rosa sul video dell’anno.
Che A$AP sia a un altro livello, che smuove qualcosa a ogni video, lo dimostra l’uscita a fine 2022 di Shittin’ Me (dirigono Grin Machine: Dan Streit e Cole Kush) che, nel consueto, immersivo tourbillon tipico di tutti i trip-video dell’artista (a dimostrazione che, al di là delle griffe, la sua supervisione è imprescindibile costante), mescola estetica contemporanea e comicità d’antan, freschezza e inquietudine. Speriamo che il 2023 porti un nuovo album e tante altre belle videocose.

REGISTA
W.A.M. Bleakley

È molto interessante il modo in cui, partendo da alcuni luoghi battutissimi dalla videomusica, Bleakley riesca a farne qualcosa di molto suo e riconoscibile continuando, peraltro ad ossequiare le logiche del riferimento prescelto: lo abbiamo visto per Touch (Golden Features), ma si prenda ad esempio anche il suo bellissimo seguito Vigil in cui il regista, riprendendo il protagonista del video precedente (il ballerino Jackson Garcia), parte dallo standard dello stordimento lisergico del dopo-rave (con giochi di soggettive e deformazioni di sguardo) e citandone tutte le tappe d’obbligo (il sogno a cerchi concentrici, i ritorni alla veglia solo apparenti) si diriga poi verso derive quasi paranoiche, con citazioni evidenti (Jordan Peele, David Cronenberg) e insinuando elementi complottistici, ipnosi indotte e sconfinamenti di livello (la stanza come set evidente). O il racconto on the road di Home (Ocean Alley) che non solo ci consegna un ritratto di donna a tutto tondo, ma in cui la love story è raccontata con semplicità disarmante quanto consapevole (scelta strategica di dettagli) e un registro visivo denso e vissutissimo, perfettamente in linea con il mood FM del brano musicale. C’è una grande sensibilità in ogni scelta come testimonia anche Feels Like A Different Thing (Confidence Man), splendida performance che sfrutta a dovere l’ambientazione desertica, dimostrazione del fatto che quando si hanno le idee visive e uno stile si può centrare l’obiettivo anche con pochi elementi. E dell’accoppiata artista-regista c’era già questo bel precedente.

RIVELAZIONE

 Stillz

Basterebbe a segnalarlo Invincible (Omar Apollo feat. Daniel Caesar), gioiellino che combina la performance con una narrazione (un po’ realistica, un po’ visionaria): una fluidità e una naturalezza nel passaggio da un bozzetto all’altro da lasciare a bocca aperta. Stillz (Matias Vasquez) del resto ha solo 23 anni e se, sulla scorta della rimarchevole produzione fotografica e del sodalizio con Bad Bunny, l’anno scorso era già entrato nel giro di Lil Nas X, quest’anno, accolto in casa CANADA, si è imposto definitivamente con Despechá e Candy per ROSALÍA. Già una certezza.

 Troy Roscoe

Quando la semplicità (apparente) funziona. In Getting Better (New Hope Club) con una coreografia appena accennata, Roscoe va di (finto) pianosequenza: una situazione (il quartiere nell’evolversi repentino e irreale della meteorologia – e del Tempo -) e la sua serena evoluzione (dalla pioggia, alla neve fino all’arrivo del sereno – e del colore -). Performance che fida sul carisma degli artisti (si guardi anche It’s Plenty per Burna Boy) e su un’effettistica presente quanto lieve. Troy Roscoe replica il concetto, mutatis mutandis, in Summer Is Over per KSI con un uso ancora efficacissimo di trick sottopelle che fa pensare a Henry Scholfield. Anche quando calca la mano (For My Hands per Burna Boy ed Ed Sheeran o nel narrativo con estetica commercial Not Over Yet, ancora per KSI – è un sodalizio -) tutto funziona a meraviglia. È un talento da tenere d’occhio.

COMMISSIONING ARTIST
The Weeknd

Again. L’abbiamo scritto più volte che The Weeknd, con Lana Del Rey, è la più rilevante videostar contemporanea, non solo per la qualità dei suoi clip, ma anche per la coerenza che contraddistingue il suo percorso, leggibile come un’unica, appassionante autofitction. Che continua con l’album Dawn FM. Per Take My Breath, Sacrifice e Out of Time l’artista torna al duo Cliqua (i messicani RJ Sanchez e Pascal Guiterrez, di stanza a Los Angeles), registi provenienti dalla pubblicità che puntano su immediatezza narrativa e uno stile magniloquente che guarda a cineasti di oggi (Refn) e a certa videoarte. In un ambiente underground che sottintende ritualità e segretezza (con chiari riferimenti a Eyes Wide Shut) e che non è altro se non un purgatorio stilizzato, i video perpetuano il leit motiv del patto diabolico stipulato dall’artista con lo showbiz, in cambio di fama e successo. In Gasoline (dirige Matilda Finn) un The Weekend invecchiato riflette sul suo burrascoso passato fatto di alcol, droghe e sesso occasionale. E si confronta con il suo giovane doppelgänger che vuole ucciderlo, vedendo in lui la rappresentazione della sua futura sconfitta esistenziale. In questo senso gli elementi horror –  che metaforizzano le suddette dipendenze – sono diretti riferimenti all’universo video di Michael Jackson, vera anima ispiratrice dell’album ed esplicitamente citato (i clip di Thriller e Billie Jean) anche nell’orgia danzereccia del remix di Swedish House Mafia di Sacrifice  video di Manu Cossu che, ammiccando a Climax di Noé, ribadisce tutti i temi in gioco. Su Prime c’è poi la The Dawn FM Experience, ennesima, spiazzante declinazione del complesso mondo video ideato per l’album Dawn FM. Lo sappiamo: quello di The Weekend è un percorso visivo articolatissimo, pieno di diramazioni e varianti, che va esplorato per intero. Basta spulciare il suo canale di You Tube per rendersene conto.

ROSALÍA

Saoko
diretto da Valentin Petit

Chicken Teriyaki
diretto da Tanu Muino

Hentai
diretto da Mitch Ryan

Candy
diretto da Stillz

Motomami
diretto da Daniel Sannwald

Delirio de grandeza
diretto da Mitch Ryan

Despechá
diretto da Stillz

ADDIZIONI
(solo un modo alternativo per segnalare altri clip)

Intro (Josman)
diretto da Marius Gonzalez
Esempio alto di messa in circolo di formule video contemporanee, tutte riconoscibili, ma ottimamente interpretate: dunque AG Rojas (realismo stilizzato, portrait fotogiornalistico da galleria d’arte) + Dave Free & Kendrick Lamar (poeticismo affidato a istantanee d’effetto) + Romain Gavras (enfasi visiva) + Henry Schofield (uso senza complessi di CGI evidente). Ho esclamato: «Beh!».

Part Of The Band (1975)
diretto da Samuel Bradley
Anton Corbijn (dai Depeche Mode agli U2) + Ingmar Bergman (Il settimo sigillo)+ Ben Wheatley (A Field in England). Ben fatto.

Spaceman (MØ)
diretto da Fa And Fon
Hype Williams (il fish eye) + Matthew Barney (l’immaginario semi mostruoso). Carino.

The Drop (Sports Team)
diretto da A.T. Mann
Franz Ferdinand + Magritte, senza un vero perché, ambendo a molti.

Running Out Of Love (Seafret)
diretto da Mark Lediard & Gavin Williams
Shynola + Hot Chip: concept scopiazzato senza pudori (Need You Now).

No Curves (Superintendent McCupcakes)
diretto da Babybaby
Duane Hanson + Yorgos Lanthimos + Michael Haneke + LSD.

Human Condition (Pretty Sick)
diretto da Frank Lebon
Metavideo superintelligente + lofi falsissimo e autonegantesi = il solito, enorme Lebon.

Let It Die (Ellie Goulding)
diretto da Carlota Guerrero
Vanessa Beecroft + Solange&Beyoncé + Alan Ferguson + Ricky Saiz + Yeezy una season a scelta.
#socontemporary + #alreadyold
Stessi addendi in forma più alterata e cattiva questo per la regia di C Prinz.

Strangers (Bring Me The Horizon)
diretto da Thomas James
Campionario anni 90 di biomeccanica un po’ mostruosa (Cunningham in testa + Sigismondi + Bayer. Cronenberg comune denominatore). Anche mestiere + rispetto, comunque.

MAESTRO!

Ma i maestri e le vecchie care costanti di questa rubrica o semplicemente quei nomi che fanno duemila cose in serie e quindi forse anche fottesega a ‘sto giro?
Una selezione:
Joseph Kahn per Chris Brown, Ava Max e Nicki Minaj
Warren Fu per Maggie Rogers
Dave Meyers per Coldplay & Selena Gomez
BRTHR per Grimes e Pinkpantheress
Yoann Lemoine (che ritorno!) per FKA twig (con Arón Piper!)
Nabil per John Legend
Christian Breslauer (prolifico più che mai) soprattutto per Lizzo e (adoro!) Kid Laroi (ma anche tanto John Legend, cercatevelo).
Special Guest, al primo video: Steven Spielberg per Marcus Mumford

TITOLI DI CODA

Jackie Down The Line (Fontaines D.C.)
diretto da Hugh Mulhern
Splendido set performativo, con coreografia e figure simboliche di rinforzo. Molto anni 80, coerentemente con le atmosfere musicali del gruppo.

This Car Drives All By Itself (The Wombats)
diretto da Callum Lloyd-James
Una corsa su una pista giocattolo con punti di vista dalle automobiline in corsa. Ottima realizzazione, un po’ lungo, ma vale una visione. Una.

Shadows (Bonobo feat, Jordan Rakei)
diretto da BWTV
Visivo, di concetto, ma non semplice meccanismo: al contrario quasi organico alle suggestioni del brano.

Avec Amour (Korin F.)
diretto da Cédric Legrand
Fantasy liceale con risucchio catodico: concept semplice, ma lisergia adeguata ad esso e atmosfera dipinta a dovere.

Hyasynth (Léa Sen)
diretto da Denisha Anderson
Split screen, tre prospettive alternative (in molti sensi) dalle quali guardare la situazione, ma la logica finale non muta.

Cold Summer (Wesley Joseph)
diretto da Wesley Joseph
Lo segnalavo l’anno scorso come esempio nobile di artista che si dirige i suoi video. Quest’anno, cimentandosi col genere (la commedia), conferma non solo una cifra visiva già riconoscibile (l’attenzione all’art direction, cromie innaturali e caratterizzanti), ma anche un notevole amalgama con la traccia musicale e il testo, una sorta di processo creativo omogeneo che si muove su tutti i livelli contemporaneamente.
Del 2022 anche questo.

Bad Mode (Hikaru Utada)
diretto da Joe Connor
Per l’atmosfera, l’impianto visivo, lo splendore della fotografia (Alexandre Jamin).

Honest (Justin Bieber feat. Don Toliver)
diretto da Cole Bennett
Parte come un performativo su montagne innevate, si rivela un action assurdo. E quel cappuccino che si versa. 

Mercury (Steve Lacy)
diretto da rubberband
Smart video: performance + narrazione + concetto giocati sul fuori campo. Dall’accoppiata anche Sunshine.

Levitation (Let’s Eat Grandma)
diretto da Noel Paul
Bella idea e splendida resa figurativa: pur accadendovi pochissimo, è un video che ti incolla alle sue immagini.

Lacuna (Boku)
diretto da Locky
Frammenti della quotidianità di una coppia, un sentimento in evoluzione, una relazione in divenire: il fotogramma va a fuoco e l’immagine presto diventerà cenere. Concetto semplice, di notevole resa espressiva, sulla labilità dei sentimenti, sulla precarietà del vivere a due.

Older (5 Seconds Of Summer feat. Sierra Deaton)
diretto da Frank Borin, Ivanna Borin
Non l’ho inserito in nessuna categoria perché, confesso, l’unica idea che può vantare mi sembra un po’ banale. Però è fatto talmente bene, fotografato così magnificamente, con degli scorci così ben lavorati, da meritare assolutamente una menzione.

Wolf (The Yeah Yeah Yeahs)
diretto da Allie Avital
Parabola di riscatto femminile che, come nello stile della regista, dice della realtà attraverso un racconto che ne altera le coordinate.

The Lightning I, II (Arcade Fire)
diretto da Emily Kai Bock
Girato in pellicola: sembra documentare l’esibizione del gruppo in una manifestazione di provincia, vira poi in tesa cronaca di un tornado in arrivo; è il modo per la band di restituire l’incertezza dei tempi che viviamo, in cui ogni attività, non solo creativa, può essere spazzata via da un’improvvisa calamità.

Stay With Me (Calvin Harris feat. Justin Timberlake, Halsey & Pharrell)
diretto da Emil Nava
Caleidoscopico, vagamente lisergico (un po’ ammiccante a Rock Your Body di JT, pure), con una CGI non impeccabile (per budget, intenzioni  e cast), nonostante The Mill, serve a dovere un brano che non ha avuto il successo che avrebbe meritato. Era il tormentone ideale del 2022, una Get Lucky che non ce l’ha fatta.

Kiss Me (Dermot Kennedy)
diretto da AB/CD/CD
Sono anni che il collettivo francese bazzica l’ambiente e ci prova a fare un video che (in qualche modo, uno qualsiasi) rimanga. Non ce la fanno neanche stavolta. Non ce la faranno mai.

Ancestress (Björk)
diretto da Andrew Thomas Huang
Non dover dimostrare più niente a nessuno, fare video belli e difficili come questo (e gli altri dell’album), essere dei classici, fuori dalle mode e dalle classifiche.

Frankie And Levan (Zach Witness)
diretto da David Wilson
Se la canzone omaggia i due dj Frankie Knuckles e Larry Levan, simboli della New York gaya anni 70, il video riprende il motivo attraverso una danza nella metro di uno Zach Witness quasi posseduto. Un bel ritorno per David Wilson (sempre nei nostri cuori).

One Easy Thing (Tv Priest)
diretto da Joe Wheatley
Il tormento agonizzante del guerriero
 incrocia quasi Bergman, nel pregevole lavoro chiaroscurale di Kristof Brandl sulla fotografia in bianco e nero.  Fa il paio con New Moon di MØ (dirigono Fa & Fon)

Music for a Sushi Restaurant (Harry Styles)
diretto da Aube Perry
Il francese Aube Perry, griffe lanciatissima – dopo la commedia demenziale Thot Shit per Megan Thee Stallion, l’empowerment story visionaria Libre per Angèle e Chemical per MK, in cui sono evidenti le ascendenze novantesche della sua poetica -, ha convinto l’artista inglese a calarsi nel suo folle mondo. Ancora una storia scritta dal regista, dunque, che immagina Styles come un tritone, pescato e pronto a essere ridotto a prelibatezza culinaria. La sua voce lo salverà?

Love Letter (Odesza feat. The Knocks)
diretto da Daniel Brown
Sarabanda di what if, il multiverso insomma.

Look To Him (Greentea Peng)
diretto da Felix Brady
Per la perizia tecnica.

Mushroom Punch (Zella Day)
diretto da Sophie Muller
Maestra.

On & On (Piri & Tommy)
diretto da Deadhorses
Pezzo ossessione e video-delizia. Che volere di più?

Bicstan (Hudson Mohawke)
diretto da Alan Resnick e Patti Harrison
Per la bizzarria, l’imprevedibilità, il trash consapevole, il citazionismo. Un po’ CANADA del periodo bello, ma più cazzaro e disarticolato.

These Are The Days (Inhaler)
diretto da James Slater
Esercizio gondryano (retroproiezione, set evidenti, artigianato), ma con un’ambizione che non si spinge oltre la confezione.

Ukendt Land (Mads Langer)
diretto da Bertil Vorre
Manca il guizzo, ma il video ha qualche idea, una buona tecnica e crea un mondo persuasivo.

Lionheart (Joel Corry, Tom Grennan)
diretto da Elliot Simpson
Trash (credendoci).

Hate (Loyle Carner)
diretto da Greg Hackett, Loyle Carner
Videoschizofrenia: è un’idea sola, ma forte. Carner continua sulla strada di Oscar Hudson, con Gondry nel cuore.

Blister In The Sun (Stealing Sheep)
diretto da Tommy Husband
Low budget come esercizio d’antan di art pop.

Never Hiding (Zakhar)
diretto da Edem Wornoo

Bad Memories (Meduza, James Carter feat. Elley Duhé, Fast Boy)
The Void Stares Back (Enter Shikari feat. Wargasm)
diretti da Elliott Gonzo

54321 (April)
diretto da NoCowboys

Riverbbed (Matt Ryder, Birdy)
diretti da George O’Reilly

SAM (Cero Ismael)
diretto da Anna Maria van ‘t Hek


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