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VIDEO DELL’ANNO 2022 – TUTTE LE CATEGORIE


Sarebbe bello se il cinema non vivesse di una narrazione unica e che, come la videomusica, in sede di bilanci annuali, proponesse classifiche tutte diverse, frutto di esperienze, prospettive e gusti i più vari. Certo, sarebbe un cinema dentro un magma, senza festival e senza critica (la videomusica è così), ma in cui non si patirebbe la ricorrenza ossessiva degli stessi nomi, titoli e artisti che diventano in tempo zero obbligati, tanto da far tacciare di eccentricità o protagonismo coloro che non li citano. Tutto questo per ribadire che anche nel 2022 questa classifica è figlia di una bolla e che in mancanza di canali dittatoriali (MTV), che segnano il cammino d’autorità, ognuno si inventa la sua storia del videoclip. Nella mia, come l’anno scorso, registro il massiccio, felice ritorno al performativo e al coreografico, a discapito di un narrativo molto più dimesso e meno esplosivo che in passato e un concettuale sempre meno attraente. Credo che ciò sia, come sempre per le espressioni artistiche – e per il videoclip in particolare che di tendenze si nutre in maniera istantanea -, il riflesso dello spirito dei tempi: le pratiche social sono dominate dai clip brevi di TokTok che pongono in primo piano, in mille modi diversi, una performance. Di qui un ritorno a certe logiche ottantesche che mettono in evidenza l’artista e fanno soggiacere al suo protagonismo e alla sua esibizione (in senso amplissimo) lo stesso concept del video, automaticamente rilanciabile in pillole reel. Insomma, il ritorno del presenzialismo dell’artista è il vero grande atout del videoclip dell’ultimo biennio.
Il 2022 ci ricorda, poi, come tanto video contemporaneo sia stato girato in Ucraina con crew del luogo. Quest’anno non si sono contati i clip che sono usciti dopo lo scoppio del conflitto e che sono diventati involontarie testimonianze di un tempo che allora non si sarebbe definito “di pace”: da quelli diretti da Tanu Muino (che è ucraina) alla Florence diretta da Autumn De Wilde, da
2step di Ed Sheeran a una visionaria Arlo Parks.
Concludo con un interrogativo a cui questo speciale cerca di (ri)dare una risposta: per quanto tempo ancora ci potremo permettere di ignorare un videouniverso
 parallelo, quello del K-Pop, produttivamente e registicamente di livello altissimo, tecnicamente e creativamente più interessante della media, solo per una pigra visione occidentocentrica e per la paura di perdere (definitivamente) il baricentro (fittizio) su cui si poggiano le nostre (auto)convinzioni videomusicali?
Buona visione, buon ascolto, buona lettura.

PERFORMANCE

As It Was (Harry Styles)
diretto da Tanu Muino
La regista ucraina Tanu Muino, dopo pregevoli lavori per Rosalía e Katy Perry, è esplosa l’anno scorso con Montero di Lil Nas X (accreditato come co-regista). Vinti tutti i premi di stagione (le è mancato il Grammy, inaspettatamente assegnato al pregevole Freedom di Jon Baptiste, diretto da Alan Ferguson), Muino ha continuato a macinare consensi: con lo splendido set design del coreografico Wild Side di Normani, per esempio, o col gemello diverso di Montero, quel Rumors di Lizzo che, giocando ancora di provocazione (le falliche scenografie), sdoganava nel contempo una femminilità segnata da assertività e body positivity. Per As It Was di Harry Styles la regista enfatizza la presenza scenica del performer (l’inglese, nella prediletta ottica video-ottantesca, richiamata anche dal brano, offre il suo corpo al feticismo della fanbase) e dà libero sfogo alla sua vena visionaria con un set coreografico che asseconda i consueti, aerei, movimenti di camera. Sdoppiando la rappresentazione su un piano realistico e uno simbolico, la regista immagina Styles inseguire, su una piattaforma girevole, una donna che può rappresentare il trauma di un passato perduto (esistenziale o sentimentale), infine esorcizzato.
Di Muino quest’anno anche tre coreografici: il ritmo indiavolato di Pollo Teriyaki di Rosalía, 2am per i Foals e Hold Me Closer per Britney Spears ed Elton John.

Oh My God (Adele)
diretto da Sam Brown
Adele torna al Sam Brown del suo (splendido) Rolling in the Deep per impreziosire un percorso videografico mai banale. Qui un bellissimo unico set in cui, via Motion Control, la star si moltiplica mentre si compone una coreografia di personaggi che popolano il movimento unico di camera. Bianchi e neri, chiari e scuri, oggetti e figure in perfetta armonia.

Hot (Seventeen)
diretto da Rima Yoon, Dongji Jang
Solo un primo esempio del livello della videomusica coreana, con una performance che si innesta in un tessuto effettistico di raro pregio, tra rotoscopia, uso creativo delle sovrascritte, cornici fatte per essere frantumate, ritmo frenetico, scenografie pazzesche, un’immagine al totale servizio della traccia musicale. C’è un entusiasmo e una freschezza nell’uso del linguaggio che fa impallidire il 90% del video mainstream occidentale.
Dai registi per Seventeen nel 2022 anche questo.

Player of Games (Grimes)
diretto da Anton Tammi
Excalibur con inserti sci-fi, spade luminose come in Star Wars e una simbolica, scenografica partita a scacchi che stilizza una tossica relazione a due: la consueta elegantissima cifra visiva di Tammi, in una storia di fantamedievalesimo firmata dalla stessa Claire Boucher. L’artista incoccia poi nei BRTHR che applicano il loro consueto, stordente registro effettato a Shinigami Eyes – una fantasia quasi manga che apre una saga spaziale scritta ancora dalla Nostra -, ma stavolta con una muscolare sfida tecnica, il duo ottiene tutto il bendidio visivo in camera e senza postproduzione (what you see is what you get). 

It’s Been A Little Heavy Lately (Joesef)
diretto da Luis Hindman
Performance che presuppone una narrazione dai confini incerti. Joesef, dopo una serata in un locale si ritira in macchina, malinconico: sguardo al finestrino, canta il pezzo. Nel prologo abbiamo visto che fissava una ragazza in compagnia del suo ragazzo. Il video sembra ipotizzare un viaggio alternativo, vagheggiato, compiuto nella macchina della coppia, assieme ai loro amici, in un’atmosfera allegra e piacevole, evidenziandisi anche che il vero oggetto dell’attenzione di Joesef, nel locale, era il ragazzo. Crash. Ogni pensiero vola via, c’è stato un incidente, Joesef è sanguinante sul selciato e canta come nel video di un anno prima di cui questo scopriamo essere il prequel. Molto interessante per le ellissi narrative e per la confezione visiva, con splendida fotografia di Sam Meyer.
Dallo stesso sodalizio anche East End Coast, Joe e Just Come Home With Me Tonight.

Go (Cat Burns)
diretto da Ricky Gibb
Performance sul corridoio mentre con morbidi movimenti di macchina si entra nelle stanze della vita quotidiana: piccoli ritratti – frammenti esistenziali solo per dare rapido conto di un momento – a cui il canto di Burns fa da fil rouge. Molto elegante, ma senza affettazioni, anzi.

19th Floor (Joy Crookes)
diretto da Ebeneza Blanche
Un performativo con narrazione minimale in controluce, portrait esibiti e inserti coreografici: un collage di frammenti etnici vari per disegnare la mappa antropologica dell’artista sullo sfondo di una Londra multiculturale. Per una delle mie canzoni preferite del 2022, un video complesso nella concezione, immediato nella resa. Sbang.

It Gets Dark (Sigrid)
diretto da Femke Huurdeman
Art direction essenziale, ma studiatissima, con decor vintage e tema spaziale risolto con gusto (il colore, le proiezioni), costumi e prop caratterizzanti. Set ricorrenti e via via variati e animati da una verve interpretativa che lascia il segno. Gioiellino prodotto da CANADA.

Put It On Your Face!! (Isamaya Ffrench X Danny Harle)
diretto da Rodrigo Inada
Una produzione Prettybird per Vogue Italy, una fantasia sfrenata che mischia mystery, glamour, cinecitazionismo: art direction superba, montaggio di calibratura rara. Inada firma un fashion movie (il brand è Byredo) che straccia tanta videomusica performativa. Peccato sia solo su Vimeo.


Altri performativi

Tomboy ((G)I-DLE)
diretto da Sanson 

El Pañuelo (Romeo Santos, Rosalía)
diretto da Roger Guàrdia

Talk (Beabadoobee)
diretto da Luke Casey & Alexandra Leese

Glitch (Kwon Eun Bi)
diretto da ?

Treat Me (Chlöe)
Shlut (Shygirl)
diretti da Diana Kunst

Heart’s Been Waiting For You (Craig David)
diretto da Jordan Rossi

LOL (Mabel)
diretto da Charlie Sarsfield

Code (Offset ft Moneybagg Yo)
diretto da Claire Arnold

F***boy Tragedy (Grace Gachot)
diretto da Callum Lloyd-James

Winter Solstice (Phoenix)
diretto da Warren Fu

Golden (Lucinda Chua)
diretto da Tash Tung

NARRATIVO

1995 (The Flitz)
diretto da Graham Michael Roberts
Infatuazione a un party di fine anno con viaggio nel tempo e sdoppiamento della protagonista che non capisce che il ragazzo che ha puntato non la sta tradendo, ma sta baciando un’altra se stessa appartenente a una dimensione temporale parallela. Molto Chris Marker ma in una chiave pop e sentimentale, teorema che quadra alla perfezione e che – la cornice VHS ce lo dice, come il finale – è tutto un nastro che si sta riavvolgendo e che contiene, implicito in questo rievocare, il suo lieto fine. Gioiellino.

Lavender and Red Roses (Ibeyi feat. Jorja Smith)
diretto da Lucrecia Taormina
Come in un racconto biblico che incrocia la mitologia greca, in un deserto tre figure femminili (le parche?) gestiscono il filo della vita di una persona. Oppure: rappresentazione simbolica della solidarietà nei confronti di una persona che ha bisogno di aiuto, ma non può o non vuole mettersi in condizioni di riceverlo, anzi, mette in pericolo colui che vuole soccorrerlo. Il video diventa la rappresentazione metaforica del taglio chirurgico di una relazione tossica (di qualsiasi tipo: familiare, amicale, sentimentale). Lucrecia Taormina rappresenta tutto questo con ampio uso di un’appariscente computer grafica.

Hard Drive Gold (alt-J)
diretto da Newman-Wallace
Una narrazione che fa presupporre una fine surreale. Che ci sarà, ma diversa da quella che ci si aspetterebbe. alt-J da sempre coltivano una videografia interessante, trasversale, decisamente riconoscibile, pur nella diversità di griffe.

Bodmin Moor (SBTRKT)
diretto da The Rest
Grande metafora, in forma di horror, della condizione di SBTRKT che, con i dischi precedenti, non era davvero proprietario dei diritti sulla sua musica. Il suo (libero) ritorno sulle scene lo fa allora narrando l’uscita dall’incubo. Qui il trailer che viene definito un prequel, ma che a me sembra a tutti gli effetti un sequel.

Down Here (Claudio Olachea)
diretto da Omer Ben Shachar
Dietro la patina fantasy-horror il discorso su un mondo di maschere, quelle che si indossano ogni giorno, dietro le quali celiamo noi stessi a uso e consumo del giudizio degli altri, ai quali consegniamo un’immagine conveniente di noi. La maschera del protagonista comincia a staccarsi e per lui diventa imperativo ripristinarla. Video pirandelliano di indubbio impatto, incubo di taglio cinematico, di messa in scena solidissima, ma di scrittura un po’ irrisolta.

Call Me (Gabrielle Aplin)
diretto da Jamie Thraves
Regista e sceneggiatore, Jamie Thraves è un veterano del video narrativo. Call Me vede il vagare notturno di Gabrielle Aplin che chiama al cellulare qualcuno che non risponde: incidenti, incontri enigmatici, persino un momento di danza – quasi fossimo in un musical – si susseguono prima che la Nostra realizzi che di quella telefonata non ha così bisogno. L’ironico finale arriva a brano ormai terminato.

Let You Go (Diplo & TSHA feat. Kareen Lomax)
diretto da Jodeb
Jodeb, videomaker canadese attivissimo da anni, regista eclettico, aperto a stili e mood diversi (qui un recente ritratto intervista), predilige narrazioni di taglio cinematografico: anche in questo caso piega la traccia musicale a puro score, proponendo una storia di amicizia e di fuga (da lui sceneggiata), ambientata in Guatemala, e facendo convivere il brano col suono in presa diretta. Un racconto di vite ribelli, giovani che scappano dalla rigida normatività della loro città e la cui ricerca di libertà  – come il percorso identitario che sottende – rima fortissimo, anche per lo stile vitalistico, con We Are Who We Are, la miniserie di Luca Guadagnino del 2020.

48 (Maxo feat. Pink Siifu)
diretto da Vincent Haycock
Fin dal sodalizio con Calvin Harris, Vincent Haycock ha imposto una linea precisa alla sua produzione registica: ambientazioni realistiche, contesti indagati con occhio documentario, narrazioni che sembrano scaturirne naturalmente, camera a mano, performance solo eventuale, attori riconoscibili (Brad Dourif, Ben Mendelsohn, Johnny Depp) a interagire con non professionisti. Il suo percorso (da ultimo un tris superbo per Sam Fender e Lights Up che è ancora, saldamente, il miglior video di Harry Styles) oggi prevede questo clip per Maxo feat. Pink Siifu, brano prodotto da Madlib. Tornato al prediletto bianco e nero (la contrastatissima fotografia è di Guillermo Garza), Haycock – dopo un preambolo girato con piani fissi, in cui Maxo, sul ciglio di una strada, perde il controllo del suo corpo fino a sparire – dà vita a un tourbillon visionario che, incrociando diverse realtà, finisce col riconnettere l’artista alla sua famiglia.

Unholy (Sam Smith, Kim Petras)
diretto da Floria Sigismondi
Fa piacere ogni tanto tornare ai fondamentali: perché Floria Sigismondi, la videomusica, l’ha segnata davvero a fondo. Dopo aver dato da mangiare, negli anni 90, a videomaker grandi e piccini mettendo a loro disposizione un kit estetico e concettuale, fatto di stile dark e allucinato, ossessioni tematiche e un ventaglio di soluzioni tecniche originali elevate a costanti (kit che nessuno ha usato con la stessa coscienza e maestria della sua inventrice); dopo aver sperimentato (siamo nel nuovo millennio) una narrazione più strutturata e leggibile rispetto ai cupi sipari astratti ed evocativi che l’avevano resa una griffe inconfondibile e aver collaborato con artisti del mainstream un tempo impensabili (Christina Aguilera, Katy Perry, Justin Timberlake, Rihanna), la regista canadese, confermando la torbida poetica, ha messo al bando certo massimalismo scenografico, puntando su un’espressività forte sì, ma prosciugata da ogni barocchismo: parliamo dei video per il compagno e complice Lawrence Rothman/Lillian Berlin, Alice Glass, Yves Tumor e, soprattutto, del capolavoro Die 4 You di Perfume Genus. Unholy segna un ritorno a certa teatralità decadente e grandguignolesca del passato: Sam Smith è il maestro di cerimonie di The Body Shop, uno spettacolo-mondo inscenato in un sex club nel quale i piaceri colpevoli di un marito fedifrago verranno rappresentati platealmente sul palco. Scenograficamente sontuoso, vanta le coreografie della compagnia francese La Horde.

                   

Dreamer (The Blaze)
diretto da The Blaze
The Blaze assorbe con naturalezza la tendenza principe del nuovo millennio, quella di un lavoro che, nel rispetto formale di certe logiche documentarie, ossequia le retoriche del videoclip, giustificando l’aderenza delle immagini naturalistiche alle caratteristiche ritmiche del brano musicale. Emuli non dichiarati di Romain Gavras – ma senza la sua forza visionaria né la sua superba tecnica -, con un occhio alla stilizzazione del reale di un AG Rojas, – ma senza la sua eleganza concettuale -, The Blaze trova comunque una via personale al filone, intarsiando i suoi spaccati d’ambiente con improvvisi ricami sinestetici e fulminanti impennate emozionali. Caratteri confermati da questo atteso video, in cui si aggiunge un’inedita, felice contestualizzazione del lip-sync. Girato in Senegal, Dreamer è un racconto ambiguo e variamente interpretabile, in cui la vita adulta del protagonista sembra elaborata da una prospettiva onirico-visionaria, la stessa di un popolo abituato a sognare un altrove: un futuro quello del protagonista, immaginato o presagito dal Sé bambino (il dreamer del titolo) che guarda l’orizzonte (il finale). Che il bambino e l’adulto siano o meno la stessa persona non importa, perché per un popolo abituato a scrutare qualcosa oltre l’orizzonte, per ogni uomo che è cresciuto (più o meno disilluso) c’è un bambino che sogna il suo avvenire.

Paper Doll (Miink)
diretto da Elliott Power
Esempio di video che riflette le tematiche importanti della canzone reinterpretandole in chiave puramente evocativa, ma senza sminuirle a pretesti. Così se il brano parla dell’uso del cristianesimo come arma manipolatoria sulle persone ridotte in schiavitù, poi costrette a professare in segreto la loro vera fede, le immagini di Elliott Power giocano sulle atmosfere notturne e sugli ambienti per suggerire questi motivi, attraverso situazioni e personaggi che sembrano quasi stralciati da leggende. Con un uso di luci e cromie davvero portentoso (DoP è Pau Muñoz) e tempi dilatati che fermano le scene in veri e propri sipari statici, a imporsi è una logica rappresentativa che usa il narrativo per arrivare al pittorico.


Altri narrativi


Mon Amour (Stromae and Camila Cabello)
diretto da Julien & Quentin

Fall In Love With A Girl (Cavetown feat. beabadoobee)
diretto da Chris Fowles

Your Love (Tourist)
diretto da Duncan Loudon

The Astronaut (Jin)
diretto da Yong Seok Choi

Getting Started [+ Director’s cut] (Sam Fender)
diretto da Brock Neal Roberts

Forever In Sunset (Ezra Furman)
diretto da Noel Paul

Free In The Knowledge (The Smile)
diretto da Leo Leigh

CONCETTUALE

Dollar Signs (Nemahsis)
diretto da Crowns & Owls
Piano-sequenza con carrello all’indietro che va a scoprire gradualmente lo scenario complessivo individuando quello iniziale come un set inquadrato in una vetrina, con conseguente simbolico discorso connesso a etichette e pregiudizi. Ma, al di là dei significati, a colpire è la qualità della messa in scena e la tenuta del lavoro alla luce dell’intransigenza del dispositivo.
Il one shot video è comunque sempre una soluzione molto gettonata con risultati diseguali, due esempi:
Following The Trend (Far Caspian)
diretto da Andy Little 
L’enfer  (Stromae)
diretto da Julien Soulier, Luc Van Haver, Coralie Barbier e Paul Van Haver

Q4 (Father John Misty)
diretto da Grant James
Come fosse una classica sequenza di titoli d’apertura di un film curata da Saul Bass: a dominare caratteri dattiloscritti, fogli accartocciati, frammenti animati. Molto semplice e molto bello.

3210 (Jeshi)
diretto da Will Dohrn
Notevole idea: la sfida tecnica (l’omaggio al precinema) è coerentemente al servizio di un viaggio nella memoria (il passato di Jeshi). Artigianato e cuore, tecnica e umanità.

Cameo (Kavinsky feat. Kareen Lomax)
diretto da Filip Nilsson
Action a tutto razzo, tanti cloni di Kavinsky (album divino) a darsi botte da orbi senza nessun senso: violenza coreografata e sparatoria galattica nella splendida location, regia adrenalitica e, come da titolo, un sacco di apparizioni straordinarie, dai Justice al regista Alex Courtes fino al cecchino Romain Gavras. Questi francesi fanno sempre gruppo.

Best Lover (88rising & BIBI)
diretto da Hyungajo, Hyungsoo Kim
Amori artificiali, trionfo del virtuale: un desktop video all’ennesima potenza, in cui ogni soluzione tecnica viene esperita ed esasperata, dove alto e basso si incontrano, mentre il narrato si intreccia al concetto, fermo restando il canonico, obbligatorio set che accoglie l’esibizione.

So Sorry (Lola Young)
diretto da KC Locke
Algorithm (Charlie Winston)
diretto da Edouard Le Scouarnec
Due esercizi su Motion Control: il primo parte dalla serializzazione delle figure di Come into my world (Gondry, who else?) per arrivare al vero modello (dichiarato?) ovvero l’elaborazione “post” dell’Hiro Murai di Sweatpants. Niente di nuovo, ma declinazione corretta che applica la soluzione come lo schema acquisito che è divenuta.
Sulla linea Gondry anche Algorithm, in cui le reiterazioni dei comportamenti, determinate dall’algoritmo, sono rappresentate attraverso l’ossessiva routine del protagonista, opportunamente serializzato. Anche qui il trick ha un’applicazione narrativa efficace e non sterile, anche se il video dice tutto nei primi 20 secondi.

Try (Obongjayar)
diretto da Spencer Young
Gioco su più livelli rappresentativi (dichiarato fin dall’incipit: il teatrino come vertigine di cornici) che seduce per complessità, inventiva, echi e rimandi. Una performance complicata dal concetto (l’esibizione come esempio da seguire: il bambino che guarda l’artista in tv) e da una miriade di fili narrativi sottintesi, componenti tutte gestite innanzitutto sul piano dell’impatto estetico, senza appesantimenti intellettuali, pur presupponendo ragionamento e teoria. Un equilibrio straordinario.

This Is Not America (Residente feat. Ibeyi)
diretto da Greg Ohrel
Il regista francese asseconda il rapper portoricano nella messa in scena delle ferite aperte dell’America Latina – colonialismo, abuso di potere, corruzione, violazioni dei diritti umani – e di alcuni eventi storici determinanti, tra cui l’arresto della nazionalista portoricana Lolita Lebrón. E se il titolo della canzone allude e risponde a This Is America di Childish Gambino – denunciando l’egemonia culturale degli Stati Uniti (e l’uso improprio della parola America per designare gli stessi) – Ohrel ne cita il video (diretto da Hiro Murai), a cominciare dalla brutale e ben nota sequenza dell’uccisione di un uomo con una pistolettata alla tempia.
Gavras everywhere.

Softly (Arlo Park)
diretto da Zhang + Knight
Le regie di Linden Zhang e Hannah Knight – inglesi, operativi da più di un lustro – riflettono i rispettivi, differenti retroterra culturali: il primo ha origini asiatiche e inizia l’attività artistica come pittore, la seconda – prima di inciampare nel videomaking – si occupa di musica lirica. Entrambi gay, hanno informato del discorso LGBTQIA+ la loro poetica visiva girando video e commercial ambientati in mondi onirici, dimensioni nelle quali evadere, dominate da visioni eteree, giocate su cromie desaturate, virate quasi sempre sul rosa e il celeste; in questi set irreali – spazi altri ordinati da regole fluide e libere, dimensioni mentali protette dalle insidie del reale – si riflettono gli stati d’animo delle figure umane che li abitano. Un’estetica elegante e riconoscibile che li ha imposti come una delle griffe più rilevanti di questi anni. In Softly per Arlo Parks la cantautrice britannica si muove in una New York immaginaria, composta di elementi scenografici mobili, set evidente che, guardando alle atmosfere del cinema anni 60, risponde, d’altro canto, a riflessioni metadiscorsive proprie del video d’autore anni 90. Una messa in scena elaborata che non prevede trucchi digitali, ma è tutta restituita dal lavoro della macchina da presa: questo mondo urbano, intinto nei toni bruniti dei mattone, si disfa lentamente fino a lasciare l’artista in un contesto nudo e astratto. Una circostanza che, col senno di poi, suona amaramente ironica: il clip è stato girato a Kiev alla fine del 2021.

Jesse C’mon (Kawala)
diretto da NYSU
Il Nysu che mi piace di più, quello dei primi video che sa coniugare tecnica, fantasia e spirito ludico portando lo spettatore in dimensioni irreali dominate da logiche proprie. Qui un protagonista come una gif in loop, sorta di installazione che riduce a due mosse il godimento ritmico per il brano che stiamo ascoltando e che, nel suo alienato e irritante repeat, diventa bersaglio da abbattere. A quel punto è tutto un susseguirsi di trovate – anche solo visive – che fanno procedere il lavoro da un quadro all’altro, senza un attimo di sosta. E che sottintendono, nell’effetto brillante, implicazioni molto più problematiche (la metafora di un malessere, il sentirsi fuori dal mondo).

Dal regista quest’anno anche questo.

ANIMAZIONE

Tra i vertici dell’annata tutta, Solace in Structure, per Max Cooper, è l’animazione da segnalare nello specifico: su una struttura 3D realizzata in computer grafica, si mescolano animazione a mano e in rotoscopio e si dà versatile forma visiva al cangiante universo sonoro dell’inglese. Un portento firmato dal nostro Donato Sansone con Marco Holland e Silvia Gariglio (altri dettagli nella didascalia del video).

Sky Cry (Pink Noise)
diretto da Kim Chapiron & Jehan Bouazza

Weight (Chelou)
diretto da Dylan Goodsell

Here Comes Crow (Police Dog Hogan)
diretto da Jac Clinch

Crawl (IDLES)
diretto da LOOSE & Edie Lawrence

I Kiss The Night (Dana Gavanski)
diretto da Gaia Alari

Welcome To Hell (Black Midi)
diretto da Gustaf Holtenäs

Palaces (Flume feat. Damon Albarn)
diretto da Jonathan Zawada

Tek It (Cafuné)
diretto da Crux

King of Sea (Kwoon feat. Babet)
diretto da Stéphane Berla

Light Of Day (Odesza feat. Ólafur Arnalds)
diretto da Balázs Simon


COREOGRAFICO

Melody (Sigala)
diretto da Samuel Douek

Potion (Calvin Harris, Dua Lipa, Young Thug)
diretto da Emil Nava

Sneakers (Itzi)
diretto da 725

Perfect Melody (Jonas Blue, Julian Perretta)
diretto da Sashinski

Hype Boy (Newjeans)
diretto da Dongle Shin

Take Me Back (Lewis Thompson, David Guetta)
diretto da Taichi Kimura

Never Seen You Dance (Totally Enormous Extinct Dinosaurs)
diretto da Pavel Brenner

I Just Came To Dance (Mae Muller)
diretto da Fred Rowson

Adrenaline (Cravity)
diretto da HQF

Reactor (Woodkid)
diretto da Saad Moosajee

CICLI, LONG VIDEO, SHORT FILM

Cheat Codes (Danger Mouse & Black Thought)
diretti da UNCANNY
Tutti i video tratti dal bellissimo album di Danger Mouse e Black Thought portano la firma del duo Uncanny (George Muncey ed Elliott Elder), sono in bianco e nero, seguono una poetica lo-fi che aderisce alle atmosfere del brano e, nel tratto visivo omogeneo, seguono logiche di volta in volta differenti. Dalle semplici associazioni visive tratte da un database di No Gold Teeth al frenetico ritmo del montaggio di Strangers – che diventa aggressione sensoriale – nel dato semplicissimo dello smartphone riflesso in uno specchio sempre al centro dell’immagine. Il duo britannico – che si muove tra fotografia, design, sperimentazione e videoarte – firma anche Because, Aquamarine e Belize.
Del duo anche Nobody Knows (Ladas Road), un performativo di Loyle Carner tra i più suggestivi dell’anno, pianosequenza in zooming reverse col consueto taglio visivo e il b/n d’ordinanza.

Caprisong (FKA twigs)
video diretti da Aidan Zamiri
Scozzese, affermatosi inizialmente come fotografo di moda (Vivienne Westwood), ma attivo anche come direttore creativo di  campagne pubblicitarie (Nike) e come documentarista, Aidan Zamiri da qualche tempo è una delle griffe videomusicali di tendenza. Non sorprende, allora che FKA twigs, che è stata tra le prime ad avvalersi del suo lavoro (il video di Sum Bout U di 645AR, con un suo featuring, nasceva da un concept della stessa artista) affidi a lui la campagna visual che promuove l’uscita del suo primo mixtape Caprisongs. In ride the dragon si dà conto, con tanto di candid camera, di una coreografia inscenata, come una sorta di flashmob, di fronte al municipio di Hackney a Londra; il piccolo show cerca e ottiene le inevitabili interruzioni da parte del personale di sorveglianza, sulla falsariga dell’happening danzato di Praise You di Fatboy Slim, nello storico clip diretto da Spike Jonze e Roman Coppola. Il registro en plein air è confermato da meta angel in cui l’artista si sdoppia e in un parco pubblico viene infilzata dalla freccia scoccata dal proprio alter ego, con bizzarro dettaglio “dall’interno” del cuore trafitto, a rendere metaforicamente l’accantonamento di una versione di sé che si avverte ormai lontana e superata. Infine in jealousy il regista, strizzando l’occhio a tanto performativo anni 80, inscena in un set semplicissimo la splendida coreografia di Kash Powell, alternando alle fantasie trasformiste di FKA twigs, l’esibizione in bianco e nero del featuring Rema. Zamiri, anche negli altri clip (li trovate tutti qui) puntando su un’immagine più fresca e immediata dell’artista – lontano dalle complessa concettualità di una videografia tra le più rilevanti degli ultimi anni – non rinuncia a simbolismi e arditezze stilistiche, ma stempera nell’umorismo e nella leggerezza l’abituale approccio intellettuale della britannica.

Dance Fever (Florence + The Machine)
video diretti da Autumn De Wilde
Non è nuova ai cicli, Florence: nel 2015 The Odyssey era un progetto concepito con Vincent Haycock, opera di drammatizzazione danzata che raccontava per frammenti la fine di un legame amoroso; preceduto dall’uscita scandita dei nove capitoli video, era stato infine pubblicato come organico mediometraggio e come tale aveva girato in festival specializzati. Nel 2018, poi, l’uscita di High as Hope era stata accompagnata da un solenne trittico di clip firmato da AG Rojas. Per l’album Dance Fever Florence Welch si rivolge alla fotografa e regista Autumn De Wilde, già al suo fianco per Big God (2018). In King l’artista appare, come in una visione mariana, a un giovane tormentato; trascinato in una performance danzata – coreografata da Ryan Heffington -, questa sembra aprire al giovane nuove porte percettive (i corpi sospesi in aria). E un orgiastico, esaltante rito pagano – con un corpo di ballo tutto al femminile  – è il centro di Heaven is Here in cui, come per le passate collaborazioni con la Welch (The Odyssey, in primis), Heffington sembra guardare – per l’esuberanza che oltrepassa la tecnica, la libertà del gesto, l’estetica degli abiti – alle olimpiche, naturali armonie delle creazioni di Isadora Duncan. Cambio di scenario per My Love che, ribadendo gli elementi dei due primi video – centralità della coreografia, personaggi coinvolti, premessa narrativa (una trance) -, li trasporta in un misterioso contesto, un locale anni 40, con pubblico congelato in una surreale fissità. Infine in Free c’è Bill Nighy nella parte dell’Ansia…

Hideous (Oliver Sim)
diretto da Yann Gonzalez
Olivier Sim sceglie qualcosa di più di un semplice video per lanciare il suo primo disco da solista Hideous Bastard. Il cantante degli xx, infatti, collabora con il regista francese Yann Gonzalez cosceneggiando e interpretando un  music film, una fantasia queer e horror in linea con la produzione dell’autore di Un couteau dans le coeur, un regista che con la musica ha da sempre un rapporto strettissimo (è fratello di Anthony, fondatore, con Nicolas Fromegeau degli M83). In Hideous Oliver Sim è special guest di un salotto televisivo: la conversazione con il conduttore, però, scivola gradualmente in una dimensione surreale. Il programma è visionato, nella sua cameretta, da un Oliver bambino che, nell’artista intervistato, riconosce  se stesso adulto. Sim, nello studio televisivo, si è trasformato intanto in un mostro dalla pelle verde che, deriso, diventa violento, per trovare infine la pace tra le braccia di un angelo custode. È Jimi Somerville, figura emblematica nella formazione di Sim soprattutto perché, a suo dire, ispirativa di un atteggiamento di coraggio e apertura, quello che ha condotto l’inglese a incidere un album con testi introspettivi, sorta di confessione in musica (l’omosessualità, la sieropositività) che trova nelle immagini di Gonzalez una sublimazione fantastica, non letterale, ma potentemente evocativa. Il regista, infatti, assecondando il suo gusto per una teatralità barocca, crea un mondo onirico e decadente che accoglie i motivi esposti nei brani di Sim (la paura, la vergogna) per discioglierli in un percorso visionario che si traduce in catarsi. Presentato alla Semaine de la Critique dell’ultimo festival di Cannes, il film in edizione integrale è disponibile in esclusiva su Mubi.

All Too Well: The Short Film (Taylor Swift)
diretto da Taylor Swift
Taylor Swift si sta riappropriando dei primi titoli del suo catalogo, reincidendoli: è la lucida reazione all’inopinata vendita dei diritti sui master alla società dell’ex manager da parte della sua etichetta. Red (Taylor’s Version) è l’attualizzazione dell’album del 2012, un lavoro che, lo dice l’autrice, «assomiglia a una persona dal cuore spezzato», alcuni brani riferendosi alla sua relazione dell’epoca con Jake Gyllenhaal. La riproposta diventa così un modo per riflettere a posteriori, non solo su scelte musicali e confezione sonora dell’originale, ma anche sui motivi umani che lo ispirarono. Il discorso videomusicale – che Swift gestisce da tempo, con esiti discontinui, anche da regista – si piega perfettamente allo scopo: da sempre l’artista usa il clip per alimentare la sua narrazione personale – di cui le canzoni sono testimonianze dirette – in forme felicemente implicite, simboliche o attraverso ingegnosi easter egg a uso dei fan. Per All Too Well il discorso si fa clamorosamente manifesto: lo short film – per capitoli segnalati da titoli eloquenti – rende leggibile, con mirabile densità espressiva (la protagonista Sadie Sink lascia il segno), l’evolversi della relazione con Gyllenhaal attraverso situazioni, gesti, dettagli. E non rinunciando alla mitologia personale, vera e propria griffe sul lavoro: la sciarpa rossa a cui la canzone allude – un caso all’epoca (si consulti Google) – segna infatti significativamente l’inizio del video e la sua fine: 13 anni dopo recita l’ultima didascalia. Appunto.

Mr. Morale & the Big Steppers (Kendrick Lamar)
video diretti da Dave Free & Kendrick Lamar
Kendrick Lamar, con il socio, produttore, amico-di-una-vita Dave Free, con la sigla The Little Homies, ha co-firmato quasi tutti i suoi clip degli ultimi anni, affiancando, di volta in volta, alcune delle più rilevanti griffe del settore, da Alexandre Moors a Jonas Lindstroem, adattando la mentalità collaborativa che caratterizza il suo processo creativo musicale anche alla realizzazione dei progetti visivi. Per i video dell’ultimo album il duo si sbarazza dello pseudonimo e fa ancora centro: in The Heart part 5, ricorrendo alla tecnica del deepfake, Lamar interpreta il brano trasformandosi man mano nelle celebrità nere evocate nel brano (da OJ Simpson a Kanye West, da Kobe Bryant a Will Smith). Proprio per la semplicità del concetto – lasciato nudo e crudo alla performance e alla sincronia del labiale – il promo ha un impatto visivo sconvolgente. A seguire è uscito N95, in cui Free e Lamar mixano suggestivi quadri urbani (fotografia di Adam Newport-Berra) con delicate miniature intimiste, vignette tutte ritoccate con pochi, ma incisivi effetti speciali.  A seguire il clamoroso We Cry Together short film cantato in presa diretta, girato in piano sequenza (garantisce l’esperto Jake Schreier che affianca i l consueto duo): uno di quei casi in cui il confine tra le immagini e la canzone diventa praticamente indistinguibile. Dramma, tensione, grandi interpretazioni (Taylour Paige). Dopo Rich Spirit diretto da Calmatic, Free e Lamar tornano in solitaria per Count Me Out in cui il rapper si confessa all’analista interpretata da Helen Mirren. È una nuova occasione per dare immagini secche ed evocative ai versi di pietra dell’artista: dopo aver elaborato la fitta rete dei propri sentimenti – le lotte di una vita, i dubbi, il senso di colpa – Lamar si pone di spalle alla terapista, le dita al pianoforte. Accanto a lui un angelo lo abbraccia: la musica è ancora la salvezza.

Animal Farm – Bibi
diretto da Ojun Kwon
Sontuoso banchetto video, katana movie, docce di sangue, tra Kill Bill e George Orwell. Un film, si proclama. Girato da dio.

Profound Mysteries (Röyksopp & Friends)
diretto da AAVV
123

October Passed Me By (Girl In Red)
diretto da Gustav Johansson

Jack’s Melody (Insincere)
diretto da Oska Zaky, Insincere

Bad Day At The Office (Jeshi)
diretto da Ethan + Tom

Big Time (Angel Olsen)
diretto da Kimberly Stuckwisch

No Thank You (Little Simz)
diretto da Gabriel Moses

Quattro pareti (Arssalendo)
diretto da Giada Bossi

About Last Night [Album Experience] (Mabel)
diretto da Charlie Sarsfield

Autofiction (Suede)
diretto da Katie Lambert

Mel Made Me Do It (Stormzy)
diretto da KLVDR

12 VIDEO ITALIANI

Video dell’anno
Ovunque sarai (Irama)
diretto da Enea Colombi
Enea Colombi immagina un Irama dormiente attraversare in sogno, sospeso in aria, luoghi e spazi nei quali la persona evocata nella canzone ha lasciato traccia di sé. Bianco e nero di maestoso nitore (gelido, mai ammiccante); coraggiosa messa al bando della performance (tanto più in un brano enfatico come questo, che sembra davvero invocarla); presenza costante della star, ma annichilita, privata della sua coolness, al pieno servizio del concept; simbolismo semplice ed efficace (l’albero cadente); un occhio a certo cinema spirituale e ieratico a cui il videoclip non guarda mai (Tarkovski, Tarr, Angelopoulos); immagini che interpretano magnificamente l’atmosfera musicale e un testo che, con la stessa efficacia, tratta di una perdita e della sua elaborazione. Un esempio mirabile di clip che non si affida a nulla di prevedibile, azzarda tantissimo e, nel rischio, trova misura e intensità. Un esempio per tutti. Clap clap.

Regia
Bianca Peruzzi
Amam Ancora (Nziria)
Fortefragile (Meg)
Peruzzi è stata la vincitrice di quest’anno della sezione Vedomusica del Pesaro Film Festival con Amam Ancora per Nziria, lungo quadro caravaggesco sospeso in un tempo immaginario, fantasia queer che mescola iconografie popolari e suggestioni dark, tra Derek Jarman  e Pierre et Gilles. Regista e artista multimediale fiorentina, in Fortefragile di Meg propone ancora un’imagerie in bilico tra racconto fantastico e mito (lo stesso che segna l’artwork dell’album Vesuvia, creato insieme a Michele Nannini). Tra abbaglianti tableau vivant e giochi chiaroscurali, la rinascita di Meg è vegliata da due vestali in un naturale teatro vulcanico che allude, come il titolo dell’album, alle radici dell’artista: un modo simbolico e leggibile per dire della ripartenza all’insegna di un imprescindibile imprinting. 

Performance
Bagno a mezzanotte (Elodie)
diretto da The Morelli Brothers

Narrativo
Tuo padre, mia madre, Lucia (Giovanni Truppi)
diretto da Francesco Lettieri

Concettuale
Privilegio raro (Tutti Fenomeni)
diretto da Luca Lumaca

Il più cliccato
La dolce vita (Fedez, Tananai, Mara Sattei)
diretto da Olmo Parenti x A THING BY

a chiudere:

Rrose Sélavy (Vinnie Marakas)
diretto da Tommaso Ferrara

I nostri giorni (Andrea Laszlo De Simone)
diretto da Enrico Bisi, Donato Sansone

Trash of Europe (Adriano Viterbini)
diretto da Donato Sansone

The Loniliest (Måneskin)
diretto da Tommaso Ottomano

No Stress (Marco Mengoni)
diretto da Roberto Ortu

SECONDA PARTE: LA TOP 20 DELL’ANNO