Commedia, Sala

FRATELLI IN ERBA

Titolo OriginaleLeaves of grass
NazioneUsa
Anno Produzione2009
Genere
Durata105'
Sceneggiatura
Musiche

TRAMA

Bill e Brady sono due fratelli gemelli. Il primo è un professore universitario di filosofia antica, il secondo uno spacciatore appassionato di erba dell’Oklahoma, paese natio di entrambi. Per risolvere una prossima resa dei conti per non aver saldato un debito con un boss della zona, Brady richiama il fratello, lontano da casa ormai da anni, inventando la morte della madre. L’obbiettivo? Far sì che Bill lo sostituisca, inconsapevolmente, per un solo giorno…

RECENSIONI


Viene spontaneo interrogarsi sull’ennesima sterile (e stupida) attività promozionale del Bel Paese che traduce il titolo Leaves of Grass in Fratelli in erba. Solo un piccola parentesi, che non vuole minimamente rincarare la dose su uno dei molti limiti del nostro panorama, perché passare al doppiaggio, esercizio piallante a tutto tondo, ci porterebbe ulteriore disagio.
Se questa opera, furba nel nascondere in un’apparente umiltà di stile e di dosaggio narrativo una ben più ampia “dotta” ambizione, ha un pregio, sta nella prova attoriale di Edward Norton  sottile e a proprio agio nel delineare due personaggi tanto affini per mimica quanto distanti per slang. Togliere il secondo aspetto, vuol dire limitare enormemente la resa del primo.


Si tira in ballo Whitman referente principale, ma impossibilitato, anima pulsante di un’America guarda caso simbolicamente rivolta alle sue fondamenta meno gestibili (l’Oklahoma), che vorrebbe prestarsi come tessuto lacerato tra il controllo di una labile Legge e il più veritiero fermento passionale, violento, dirompente. La commedia si bagna ben presto del suo opposto, scorre il sangue, si vagheggia tra esercizi di retorica “nascosta” in maniera rocambolesca, citando con fare teatrale verità e pensieri sulla complessità umana, sui grandi conflitti esistenziali. A Nelson piace affogare un’interessante riflessione fatalista sulla verbosità filosofica, spesso mascherata nell’autoironia, ma perlopiù desiderosa di spiegarci, di farci sapere, di convincerci del teorema in atto. E' da chiedersi quindi dove sia finito Whitman. Non c’è, irrigidito pessimisticamente, nell’ombra di personaggi incapaci di controllare le proprie azioni (strizzatine ai Coen) che scollano la tenuta tragicomica su un sicuro minestrone di citazioni, di autori.


Ma forse non è così. Credo (in)consciamente, o almeno lo spero, nella possibilità di rivisitare i modelli di riferimento (quanto Shakespeare, quanta Tragedia Greca, quanto Basta) in una luce diversa, come se alla superficie di tutto questo sapere rigurgitato ci sia un debole esercizio di controllo di una natura comoda e difficile da integrare. Sotto la superficie dell’acqua c’è forse un pesce da squartare, in un’azione che si ripete da chissà quanto tempo. Il regista sentenzierebbe così la consapevole verità che non c’è consapevolezza di fondo, che l’uomo si maschera nella differenza (sia un ebreo o un redneck) per nascondere un ingestibile controllo della propria vita, vittima di un marchingegno molto più in alto di lui.


Sedato da uno stile sobrio e minimale, Fratelli in erba si presta ad osservare, a non precipitare con clamore sugli eventi rappresentati. Tenta di porsi come testimone, di controllare fino  all’ultimo quell’elemento inaspettato di violenza che punta a giocare sulla costruzione del dramma.
Una narrazione desiderosa di spiazzare non facendosi riconoscere totalmente in dei meccanismi codificati (su tutti il misunderstanding), giocando con l’imprevisto, con quel senso di Casualità incapace però di distanziarsi dall’ammorbante controparte divulgativa. Ed è un grosso limite, indigeribile.
Peccato.