TRAMA
Rapiscono una bambina: la madre tortura il fratello che crede un pedofilo, ma la tengono prigioniera due donne, amanti, in seguito sorprese nell’edificio in cui si nascondono da un uomo mascherato.
RECENSIONI
Illustratore, autore di fumetti e cortometraggi, Carlos Vermut debutta in modo indipendente (Psicosoda Films), investendo € 25.000 ottenuti per la sua serie animata Jelly Jamm (citata con la scena del bar e l’inserto cartoonesco): mandato in streaming con successo su Filmin, quest’esordio ne ha rivelato i bizzarri stilemi nel modulare il racconto, mischiare i registri e dargli forma con l’immagine (la situazione iperbolica affidata alla recitazione e all’ambientazione). L’intreccio labirintico, ad incastri con ritorni e circolarità, sorprende anche per alcuni passaggi alieni nell’impasto di intensità emotiva, pulp sul filo del grottesco, stranezze narrative (la madre che non ha foto della figlia, i tarocchi con le figurine dei dinosauri), argomenti spigolosi trattati con anticonformismo (l’interrogatorio nel bagno in cui, nonostante le minacce, il vomito e il sangue, persiste l’amore fraterno; la scena della tortura che finisce in un’assurda, lunga risata). Il film procede per lunghe messinscene teatrali dove anche ciò che non si vede è eloquente, insieme ai dialoghi che dissertano di tutto, dalla facezia alla crudeltà insostenibile. Un variegato atto di dolore muliebre (la violenza sulle donne) con rincorrersi di genitori e figlie, tracce sadomasochistiche, declinazioni nel rapporto di potere (le dinamiche fra le due rapitrici) e finta progressione consequenziale nelle microstorie, con svolte che lasciano nel baratro i misteri all’insegna dell’indeterminatezza, in opposizione alla pervicacia con cui l’autore sembra abiurare il Caso, ricomponendo il puzzle di tracce disseminate nei quattro capitoli (Famiglia, Identità, Sangue, Diamond Flash). La presenza del “supereroe” del titolo, inoltre, più figlio di Apichatpong Weerasethakul o João Pedro Rodrigues che della Marvel, spariglia i manicheismi, sorretta nel disordine da un’apparente compiutezza che dichiara i falsi raccordi dell’Esistenza e la vittoria della Struttura sul Racconto.
