TRAMA
Il visconte di Valmont è un seduttore senza scrupoli che aiuta la marchesa di Merteuil a vendicarsi dell’ex-amante ai danni della sua futura sposa.
RECENSIONI
Nel portare sullo schermo il romanzo di Laclos, genialmente riletto pochi anni (anzi, pochi mesi) prima da Stephen Frears, Forman si concentra (fin dal titolo) sulla figura di Valmont, fosco e tutto sommato autoironico (anti)eroe che vive di marciume e muore di ri/assaporata purezza, lasciando la sua (ex) complice nel fango delle proprie cervellotiche trame (in fin dei conti) deluse. Tutto bene, ma il film è afflitto da una sceneggiatura balorda, che altera il testo di partenza per finire nel kitsch preterintenzionale (l'epilogo tombale), e da un cast interessante (sulla carta) che si rivela semplicemente inadeguato (eccezion fatta per Meg Tilly, una cineseria squisitamente sfasata). La regia, elegante (come d’abitudine) ma a corto di idee, ritmo e fiato, zoppica visibilmente: non bastano qualche sequenza riuscita (il convegno notturno dei giovani amanti) e la comparsa(ta) di Jeffrey Jones a richiamare in vita il fantasma di AMADEUS (leggasi: esaltante affresco in costume). Peccato.
Titolo sfortunato di Miloš Forman, battuto sul tempo dall’uscita, l’anno prima, di Le Relazioni Pericolose di Stephen Frears, acclamato da pubblico e critica. Stessa fonte, risultato completamente diverso: il racconto resta appassionante ed intrigante, aizza rabbia e dolore nel modo in cui dipana intrighi infimi e crudeli ai danni dell’Innocenza, manipolando i sentimenti ingenui in nome di una furbizia agghiacciante. Una trama colma di risvolti e allegorie di Vita, ma nel segno di Amadeus, con andamento maggiormente dispersivo, volutamente senza mordente nel dipingere impudenti e diabolici. L’opera di Forman, poi, si discosta maggiormente dalle pagine di Pierre Choderlos de Laclos, è meno cupa e d’effetto, vuole essere più raffinata e delicata nel trattare i temi mentre, formalmente, ricerca le location originali (è girato in Francia) con costi e tempi di produzione assai maggiori. I personaggi sono più ambigui (e giovani, per maggiore aderenza storica), lo humour è sottile e dolceamaro. Rifacendosi meno a una drammaturgia “spettacolare”, volendo essere al contempo più “realistica” (anche attraverso il commento sonoro con Haydn e Rameau) e dissacrante, è, da un lato, più sconvolgente in ciò che racconta e, dall’altro più inerte, anche perché con passo meno stringato, con attori meno carismatici (per quanto bravi), con un finale (diverso dal romanzo) meno d’impatto. Eleganza innegabile e demistificazione quasi farsesca (tocco dello sceneggiatore Jean-Claude Carrière).