Poliziesco

LA POLIZIA RINGRAZIA

NazioneItalia/Germania
Anno Produzione1972
Durata93'

TRAMA

RECENSIONI

Steno con La polizia ringrazia effettua, ex abrupto proprio come, significativamente, l’Alfa Giulia del protagonista della pellicola si annuncia nella primissima sequenza di apertura sorprendendoci con un senso del ritmo che andrà sempre in crescendo, una straordinaria (nel vero senso del termine) incursione nell’universo cinematografico del poliziesco. E’, come afferma il regista stesso, una di quelle idee che giungono all’improvviso e che attraversano la mente in una frazione di secondo, e dalle quali sia lui che lo sceneggiatore Lucio De Caro rimangono letteralmente folgorati. Lo spunto da cui Steno e De Caro partono è una discussione sulle “Brigate della morte” in Brasile, argomento di una certa inquietante attualità alla fine degli anni ’60, specialmente nel “Belpaese”, dopo tutti gli strascichi di certa contestazione e i rigurgiti di un ’68 ben lungi dall’aver trovato una sua definitiva conclusione.
Il primo elemento da far notare è di carattere onomastico: il regista si firma per la prima volta con il nome per esteso, Stefano Vanzina; indizio inequivocabile sulla volontà di prendere le distanze dalle sue consuetudini filmografiche. Il film è infatti quanto di più lontano dagli stilemi della commedia Steno abbia mai girato.
Secondo alcuni (probabilmente i più) La polizia ringrazia , annata 1971, distribuito l’anno dopo, può essere considerato, nelle sue linee generali, il prototipo del genere poliziottesco, ma in realtà, a ben guardare, il film, pur contenendo caratteristiche care a tal filone (l’indagine poliziesca, il poliziotto contro tutto e contro tutti, l’imbrigliamento nei confronti del suo operato nelle maglie di una giustizia burocratica e lassista) e pur essendo stato, volente o nolente, attraverso il suo successo di pubblico, l’apripista di tutta una stagione cinematografica declinata su questo genere (a Steno stesso se ne deve il sottofilone parodico con il famigerato La poliziotta, del ’74, che ribalta ruolo e segno della seriosità della Melato di La polizia ringrazia) che culminerà agli inizi degli anni ’80 con i vari Delitti dell’accoppiata Milian-Corbucci (Bruno), possiede prerogative semantiche che gli fanno parlare la lingua del poliziesco stricto sensu, vincolandolo a situazioni nelle quali prevale il paradigma psicologico, soprattutto nella costruzione dei personaggi, limitando il coté dell’action nuda e cruda a poche (benché cruentissime) sequenze, come quella di Laura Belli che cadendo dalla sella della motocicletta del malvivente rotola sulla strada fino ad essere travolta e spappolata dall’auto della polizia, e prediligendo un’istanza razionale da parte di chi si cala a compiere indagini nell’inferno malavitoso, piuttosto che l’istintualità di tanto giustizialismo (in questo caso sì) poliziottesco. In questi termini allora, se proprio si volesse trovare un capostipite, lo si dovrebbe cercare in autori quali Enzo G. Castellari (La polizia incrimina, la legge assolve) o addirittura Roberto Infascelli, produttore di La polizia ringrazia, con il suo La polizia sta a guardare(entrambi del ’73), il quale ripropone lo stesso Enrico Maria Salerno (molto frequente in quei primi anni di poliziesco all’italiana: come protagonista in La polizia è al servizio del cittadino? e Un uomo una città di Romolo Guerrieri e in ruoli a latere come La città gioca d’azzardo di Sergio Martino, …A tutte le auto della polizia… di Mario Caiano e La polizia interviene: ordine di uccidere di Giuseppe Rosati) in chiave decisamente più violenta senza troppa cura per dinamiche psicologiche di sorta.
La polizia ringrazia è invece più vicino, per temi e atmosfere, a certo cinema di denuncia di ascendenza petriano-rosiana, in cui l’inquietante ipotesi di un’organizzazione dall’ombra politicamente nera che partendo da una giustizialistica “anonima anticrimine” trama al sovvertimento dell’ordine costituito (se ne ricorderà perfettamente, e aggiungiamo ovviamente data la breve distanza cronologica, Sergio Martino nel suo avvincenteLa polizia accusa: il servizio segreto uccide, del ’75). Vanzina inietta potenti dosi di pessimismo socio-politico demandandone la rappresentazione soprattutto al lividore fotografico di Riccardo Pallottini, il quale immagina scorci di una Roma che così oscura non si era mai vista, e alla melanconia delle musiche del grande Stelvio Cipriani. Il senso poi di frantumazione dato dal montaggio di Perpignani è la stessa tesa, acerrima, dolente lacerazione interiore del commissario Bertone, condannato all’impotenza in un finale davvero splendidamente sconsolante dall’effetto “Grande silenzio” corbucciano, in cui un titanico senso di sconfitta regna amaramente nei nostri occhi e nei nostri cuori.