- 53186
TRAMA
Nel Paese si aggirano pericolose bande che sembrano annunciare una svolta catastrofica, Janos Valuska, un postino, è uno dei pochi che ancora spera.
RECENSIONI
"Questo film è molto più di una semplice storia per me. Riguarda un conflitto eterno: la lotta secolare tra l'istinto barbarico e la civilizzazione; riguarda un processo storico che ha definito gli ultimi due secoli di tutta l'Europa orientale", nella parole di Bela Tarr, "Wermeister harmòniàk" (2000) è effettivamente quale appare anche ad uno sguardo disattento: un complesso polifonico di movimenti che si intrecciano ed innestano l'uno sull'altro, in cui l'uno è antagonista ma pure creatore dell'opposto. Non si tratta di semplici dinamismi dialettici, quello che Tarr sembra rincorrere (senza molta fretta) è appunto il nucleo di crisi di questo andamento, senza mai giungere a mostrarlo ma costruendone la misterica presenza: non solo il mondo attraverso gli occhi del buon diavolo Janos (!) Valuska è costantemente precario ed incrinato ma pure rimane fonte del più profondo stupore e del sentimento improvviso, ch'esso sia la dolcezza, il timore, il disgusto. Suoi sono gli occhi che indagano l'enorme mostro marino, il Leviatano nascosto eppure visibile ed attraente, suo il percorso d'incontri.
Se in "Satantango" (1994) poco meno di otto ore bastavano al regista ungherese per giungere alla reificazione del tempo ed alla strutturazione dello spazio, questo "Le Armonie di Werkmeister" è uno scorcio sul plurimo e sconvolgente, sulla speranza e sulla sua continua fragilità: long takes e piani sequenza permettono di strutturare ambienti e dinamiche fisiche di cui solo lo sguardo (di Valuska, dello spettatore) può indagare la profondità (di qui la presenza della nebbia, dell'ambiente domestico, del container, dello sbirciare) anche morale.
Werkmeister nel '600 fisso le basi teoriche dell'acordatura degli strumenti a suono fisso, influenzando lo stesso Bach ed il suo Clavicembalo ben temperato.
