TRAMA
L’esercito del re persiano Sharaman attacca la città sacra di Alamut, accusandola di bramare contro l’impero. Al suo interno un potentissimo oggetto magico può cambiare il corso del tempo…
RECENSIONI
Prince of U.S.A
Non ci vuole tanto a confinare il prodotto di questa analisi all’interno di un’etichetta ben definita (e conosciuta). Dal genoma tipicamente commerciale, Prince of Persia si porta dietro tutte le caratteristiche del marchio Bruckheimer, a partire dalla bulimica necessità dell’effetto speciale come matrice prima dell’intrattenimento. Proseguire nell’elenco avrebbe il sapore del déjà-vu, poiché di campi-lunghi in balia del digitale, di dominio ipercinetico del montaggio, di personaggi resi inconsistenti grazie all’ennesimo e usurato script (la faciloneria dei colpi di scena e degli snodi narrativi, quasi fossero realizzati con lo stampo, reprime il significato stesso di Regia), di sterzate nei registri (epica spompata, dramma convinto, humour caratteristico e leggerenza teen), ne abbiamo visti a iosa. Questo non vuol far troneggiare la tipica linea di giudizio pretenziosa, ci mancherebbe. Opere del genere devono necessariamente essere affrontate con una paziente e decisa onestà (commerciale?), bisogna accentarne la natura e riconoscerne, quanto basta, il godibile senso affabulatorio.
Ma al di là del marchio di fabbrica, questa trasposizione della storica piattaforma ideata da Jordan Mechner (1989), che ne firma soggetto e sceneggiatura, trascende con rispettosa spudoratezza il contesto fantasy per prestarsi a letture molto contemporanee. Il bersaglio della morale è costruito infatti intorno alla recente politica statunitense in Medio Oriente, focalizzando le allusioni sul bluff delle armi di distruzione di massa. La città sacra e inviolabile di Alamut, assediata perché accusata di produrre armi in maniera clandestina, non può non richiamare il fantascientifico casus belli per la Seconda Guerra del Golfo (2003). Torna tutto, la metafora si costruisce con facilità (come non vedere nell’universo dello sceicco Amar il distorcente filtro mediatico U.S.A sul terrorismo?), rivive con coscienza una verità politica, le permette di emergere e con quel pizzico di utopia che solo l’arte può rivendicare tenta di riavvolgere il tempo, nella fin troppo rassicurante possibilità che la Storia possa essere riscritta. Ribadito con estenuazione, il tradimento è opera dei propri consanguinei, di quella parte di potere (Nizam) che devia per interesse personale i saldi principi dei fratelli-guerrieri (e Dastan si traveste da marine).
Brevemente. Con il sapore divertito dell’omaggio meta, Mechner imposta la struttura narrativa circolarmente (simile ad un restart), richiamando una particolare caratteristica della prima versione del videogame. In Prince of Persia l’avventura era costruita in tempo reale, obbligando il giocatore a completarla entro un limite prestabilito, pena, il dover ricominciare tutto d’accapo. La stessa funzionalità del Pugnale del Tempo che permette di tornare indietro e di riaffrontare un ostacolo ha tutte le modalità di un save game.
L’asse Bruckheimer-Disney, dopo il successo della saga fantasy I Pirati dei Caraibi, ci riprova trasponendo un videogame di successo di Jordan Mechner (del 1989, il primo ad utilizzare il rotoscope e la tecnica marziale del parkour). L’avventura in cui si è proiettati sorprende favorevolmente, nonostante di novità ce ne siano poche. Merito di Mike Newell, scelto probabilmente in quanto uno dei firmatari di Harry Potter ed esperto in commedie sentimentali: come regista era certamente più apprezzabile quando faceva “l’arrabbiato” in Inghilterra, ma qui opta saggiamente per un cinema d’avventura esotico dal respiro classico, partendo con Il Ladro di Bagdad (Dastan ex-ladruncolo in fuga sui tetti di una città da “Mille e una notte”) e finendo dalle parti di Indiana Jones (il tempio della clessidra del tempo con i suoi trabocchetti), passando per copiosi campi lunghi digitali che tolgono il fiato (panoramiche urbane, eserciti…), per un’intrigante tragedia familiare di palazzo, per schermaglie amorose con una bellissima Gemma Arterton, per un cattivo Doc del solito Ben Kingsley (attorniato da Hashâshîn stile ninja), per combattimenti spettacolari (mutuati dal videogioco nei funambolismi), tracce magico-esoteriche (sabbie del tempo, Dei, riscrittura della Storia) e personaggi canagliesco-buffi (il pascià di Alfred Molina). Fotografia color sabbia di John Seale e gran fasto, con eleganza.