Amazon Prime, Horror, Recensione

LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

TRAMA

Stefano deve restaurare, in un paese della bassa padana, un dipinto di Buono Legnani, folle artista morto suicida e dal passato misterioso. Telefonate minatorie e la morte di un amico a conoscenza dei fatti lo inducono ad indagare.

RECENSIONI

“Io sono i miei colori. I miei colori sono dentro il mio braccio e vanno dentro gli occhi della gente”. La stregata, incubale, misteriosa ed angosciante atmosfera che Pupi Avati, a bassissimo costo, ricava dall'ambientazione contadina romagnola ha fatto di quest’opera uno dei pochi veri e propri “cult” nostrani, con pregi e difetti legati al B-movie (non è sempre curato in ogni sua parte). Il regista riesce a terrorizzare facendo più leva sulle pulsioni inconsce che affidandosi ai classici meccanismi del thriller. Ma gli ambienti, le iconografie, i riti esoterici e le evocazioni di morti violente rendono memorabile il senso sgradevole di orrori e presagi atavici, specchio dell'agonia raffigurata nei quadri del pittore su cui ruota la vicenda (Buono Legnani era denominato “delle agonie” perché amava ritrarre i morenti). Poesia del terrore dove i personaggi stessi sono schizzi ambigui di paure recondite che popolano un disturbante racconto gotico, imperfetto solo nel canovaccio claudicante, non sempre credibile e con qualche lacuna esplicativa. L’ispirazione, come in tutte le opere di Avati, è autobiografica e legata all’infanzia, passata in campagna con lo spaventoso immaginario figlio del cattolicesimo (“A Sasso Marconi riesumarono la salma del parroco, ma quando aprirono la bara trovarono uno scheletro di donna. Quella del prete-donna divenne così una diceria popolare”). Cinematograficamente, invece, si può risalire all’orrore rurale di Fulci con Non si Sevizia un Paperino.