TRAMA
I coniugi Coleman sono stati segnati dalla perdita di un figlio, non ancora nato. Decidono di intraprendere un’adozione e restano colpiti dalla piccola Esther.
RECENSIONI
Jaume Collet-Serra, regista spagnolo trapiantato a Hollywood, è arrivato in Italia con La maschera di cera: quel film, che riproponeva il topos americano del ''museo delle cere', era il libero remake di un classico, Mystery of the Wax Museum (1933) di Michael Curtiz che, a sua volta, era già stato rifatto con House of Wax (1953) di André De Toth (medesimo titolo originale de La maschera di cera). Risulta dunque evidente come l'attuale produzione horror americana spesso si consegni a una serie di rimandi che, puntando sulla memoria breve o scarsa conoscenza di chi guarda, spera così di proporsi come visione nuova. Il cineasta ci riprova con Orphan, prodotto dalla Appian Way di Leonardo Di Caprio: la vicenda adottiva di un nucleo dove scatta il meccanismo di sostituzione - ha perso un figlio prima della nascita, Esther lo trapianta -, ufficialmente è un soggetto originale. In realtà, però, si limita a ripercorrere lo spunto dei 'bambini cattivi': l'evoluzione degli eventi attinge da una lista lunga e controversa (da Omen - Il presagio all'inutile L'innocenza del diavolo) e si limita a rifarla sia dal punto di vista sostanziale che stilistico (gli sguardi del bimbo, il climax di tensione, altri particolari). Passando sulla prevedibilità dell'impianto, allora, l'aspetto migliore del film è senz'altro l'inquietante concezione dei legami famigliari: John e Kate tentano di soppiantare il figlio morto (sostituzione), ma insieme tengono nel loro giardino le ceneri del feto (mantenimento), aprendo una contraddizione. Nell'atto di sradicare le rose bianche che crescono sulle reliquie, di fatto Esther impedisce all'aborto di rivivere e lo elimina definitivamente: a sua volta, lei stessa non è neanche una bambina ma desidera esserlo' In questo meccanismo non detto di riconoscimenti e sostituzioni, vivacizzato dalla sceneggiatura di David Johnson, l'equilibrio domestico vacilla dinanzi all''intruso' e mostra la corda: dall'impotenza del piccolo Daniel di fronte al male, ovvero il primogenito che finisce per soccombere, fino alla deriva di John che rischia incestuosamente di subire la seduzione della 'figlia'. L'armatura della famiglia americana può crollare in qualsiasi momento. La premessa resta stimolante, ma purtroppo questi aspetti non sono strutturati in quanto si preferisce applicare il manuale del thriller, per sua natura altalenante: si assiste al crescendo di aberrazioni, contornato di frasi di circostanza, semplificazioni visive e sociali - per esempio, un bicchiere di vino significa alcolismo -, svolte tramiche controverse. Non basta da sola la cattiveria dell'intreccio, che in alcuni punti sembra giocare con una sincera scorrettezza: vedi l'uscita di scena di Sister Abigail e dello stesso John, entrambe lievemente sopra il medio livello pettinato del genere. Drammatizzazione di prammatica per la coppia Farmiga-Sarsgaard, nella giovane Isabelle Fuhrman colpisce il mimetico fisico di ruolo più che l'interpretazione effettiva, che suona come semplice epigono di molti bad children precedenti.

Lo spagnolo Jaume Collet-Serra, guadagnata la fiducia di Joel Silver (che aveva prodotto il precedente La Maschera di Cera), ottiene anche il patrocinio della star Leonardo Di Caprio (produttore), con cui aveva girato per internet la serie di video Don't Vote. È l’ennesimo thriller con infanzia diabolica: anche la messinscena elegante e lo studio psicologico che lo sottendono sono ormai diventati canoni di (sotto)genere. Il regista, però, sorprende per l’approccio iniziale molto morbido, attento allo studio dei caratteri (si concentra sul trauma di perdita della figura materna), senza colpi bassi e abile nel mantenere l’ambiguità sulla vera natura della bambina. Quando si scatena, il thrilling non molla più la presa, efficace e con un bellissimo colpo di scena finale, che funziona grazie a Isabelle Fuhrman e agli addetti al trucco. Collet-Serra dirige molto bene i bambini (adorabile la sordomuta) e conosce il proprio mestiere “di paura”, ma sopra la sua testa staziona perenne una grande spada di Damocle: dinamiche ed espedienti del film si sono tutti già visti (dai tempi di Chi è l'Altro? di Robert Mulligan), da ultimo nel pregevole Joshua (sempre di nove anni), dove, parimenti, uno dei genitori, con trauma alle spalle, iniziava ad avere sospetti non creduto.
