TRAMA
Tre storie ambientate in tre epoche diverse e dedicate rispettivamente al tempo dell’amore, della libertà e della giovinezza.
RECENSIONI
Tre amori in tre tempi: gli anni 60 ed il racconto venato di nostalgia della nascita di un amore in A Time for Love; gli anni 10, con i riti e le gabbie dorate che soffocano gli impulsi ed il desiderio di fuga di una splendida concubina, che si strugge per un attivista politico dalla lunga chioma in A Time for Freedom(libertà anche dal giogo nipponico); il mondo doggi, una ragazza divisa tra un lui ed una lei in A Time for Youth. Scelte stilistiche e cromatiche differenti dietro le quali sembra soggiacere un evidente intento espressionistico - si va dal naturalismo neutro del primo episodio alle tonalità calde (quasi soffocanti) del secondo, fino a quelle fredde (quasi gelide) del terzo.
Tre frammenti di un discorso amoroso transtorico ed iterante, il nuovo capolavoro di Hou Hsiao-hsien si apre su un tavolo da biliardo con la più erotica e coreografica partita della storia del cinema: gessetti passati sulla punta delle stecche, palline rotolanti, sguardi che si intrecciano, movimenti che suggeriscono gli atti di una seduzione in divenire. La radio, si presume visto che la fonte sonora rimane costantemente fuori campo, diffonde due sole melodie lacrimose incentrate sul pianto, sulla sofferenza damore: Rain and Tears degli Aphrodites Child e Smoke Gets in your Eyes dei Platters. La transitorietà dei rapporti segnati dal caso è resa mediante landirivieni del battello. E sotto una pioggia battente, quasi una meteoprefigurazione delle lacrime che saranno versate per un gioco che va necessariamente giocato (pena la non vita, la non comunicazione intima), il contatto di due solitudini, riparate sotto un ombrello. Dopo una lunga ricerca fatta di sussurri e di attese ora vane ora proficue, tra una sala da gioco e laltra, il giovane protagonista riesce a conquistare loggetto damore.
Nel secondo frammento, abile e non lezioso omaggio alla cinematografia del periodo muto (con tanto di intertitoli), paradossalmente lepisodio meno silenzioso del trittico (fu Bresson a dire per primo che il cinema sonoro ha inventato il silenzio), accompagnato da melodie al pianoforte in stile e, soprattutto, da un canto damore funebre e tristissimo che pare mutuato da Mizoguchi, la liaison viene suggerita ancora attraverso literazione di gesti surroganti unimpossibile congiunzione sessuale: al posto del gioco del biliardo, la condivisione ripetuta a cadenze settimanali di un tè, il rituale dolce e straziante dello scioglimento e della cura dei capelli dellaltro. Soverchiata dal folle potere e dalle istanze delletichetta, la protagonista non riesce a dichiarare il suo amore, così come il giovane attivista non sembra comprendere le reali aspirazioni e desideri della concubina. A questultima non resta che sublimare la passione nel gesto materno della liberazione di una giovane allieva, data in sposa ad un riccone del luogo. Sul finire, la donna ode provenire dalla stanza a fianco il canto di una bimba dal destino già segnato, si appoggia alla porta scorrevole, guarda nel vuoto, una lacrima le riga il volto: è lincombente ricambio generazionale, il vago sentore del sopraggiungere della fine, la tragica consapevolezza di non aver vissuto, se non da prigioniera, e di non poter cedere in eredità nientaltro che la propria dannazione.
E il dolore transtorico e transitorio a congiungere il secondo e lultimo episodio: da quello rappreso e paralizzante della concubina per un amore non vissuto al pianto dirotto ed alle mani intrecciate della rock star protagonista del terzo capitolo, strette al ventre dellamante fotografo - è una sofferenza, questa volta, causata dal troppo amore, un amore pansessuale, per un uomo, per una donna. In questo caso è una fuga in moto appena abbozzata ad essere ripetuta, segno referente dellinanità di ogni allontanamento deliberato.
Se il Tempo dellamore è quello delle canzoni udite, associate indelebilmente ad un volto, ad una situazione, ad unemozione, se lantifrasticotempo della libertà è quello delle canzoni che siamo costretti a cantare nascondendo il dolore dietro una maschera sorridente, il tempo della giovinezza è forse lunico produttivo, quello della trascrizione in versi o melodie (la cantante) e della mummificazione (il fotografo) di uno stato mentale, di unangoscia, di occhi stanchi o vivi incrociati per strada e di corpi carezzati che si è cercato di amare: del tentativo di conferire senso e di razionalizzare il tempo ed i tempi.
Sulle invasioni di campo del passato prossimo e remoto e sullimpossibilità oramai connaturata alla società contemporanea di sottrarre al dominio pubblico uno spazio intimo inviolabile, Hou Hsiao-hsien forma un trittico sublime, di cristallini rigore e purezza, di uneleganza e di una ricercatezza uniche e mai stucchevoli, riflessione sul rapporto tra temporalità lineare ed intermittenze del cuore, tra tempo come esperienza soggettiva e come categoria (tema costante nella cinematografia dellautore taiwanese), coadiuvato dagli splendidi attori protagonisti, la coppia fissa dei tre episodi Shu Qi (la stessa di Millennium Mambo) e Chang Chen.