TRAMA
Robert Eroica Duprea andatosene da casa vi fa ritorno quando viene a conoscenza della malattia del padre ma resosi conto della sua non appartenenza alla borghesia dell’ambiente familiare se ne andrà di nuovo.
RECENSIONI
Straordinaria opera seconda di Rafelson (il primo film, Head, raccontava le disavventure musicali del più strampalato e sublimemente “finto” gruppo della storia del rock: i Monkees) che si inscrive perfettamente nella parabola estetica del grande cinema americano a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 tra complotti e sogni infranti. Cinque pezzi facili possiede la stupefacente capacità di narrare tutta la disillusione del sogno a stelle e strisce a partire da un microcosmo familiare come crogiolo di dinamiche psicologiche destinate ad attorcigliarsi su se stesse per dare luogo a quel senso di insoddisfazione sociale inaugurato dalla dialettica tra immobilismo borghese e illusione proletaria di trasformazione. Spaccato implacabilmente storico seppur descritto in maniera laterale, ai margini non ben definiti di una Storia e di una Geografia americane che proprio su quel senso di indefinitezza hanno tentato di ridisegnare i confini di un paese che stava misurando una graduale perdita di identità socio-politica sul metro di un grande conflitto ideologico, più che di classe, fomentato dall’eminente contraddizione tra pulsioni centrifughe alimentate dall’illusione di libertà e forze centripete fondate sull’ossessione reazionaria di controllo (dei poteri).
Film che adotta la fin troppo abusata metafora del nomadismo per esprimere la condizione tormentata di chi non si adegua ad una dialettica sociale destinata allo scacco, incarnata da Robert Eroica Dupea (un Nicholson inenarrabile), esemplare figura del disagio esistenziale, scisso, lacerato, splendidamente compulsivo, nei gesti, negli sguardi, negli atteggiamenti di colui che si muove sempre sul crinale di un baratro esistenziale. Il loser che fugge da un America che nega un ruolo a chi si sottrae dal conflitto socio-ideologico, che guarda con suprema disillusione e scostante nichilismo le magnifiche sorti e progressive di un mondo che ha già sancito la vittoria del Capitale. Robert, un personaggio che mostra tutto il suo cinismo nei confronti di chi gli propina l’invasività dei sentimenti (quelli imborghesiti di Catherine), o peggio, dei sentimentalismi (quelli della insulsa fidanzata Rayette), lui che preferisce prendere atto di un ineluttabile senso di incomunicabilità come gabbia dei rapporti umani (l’educazione musicale del nucleo familiare ha condotto i Dupea all’isolamento sociale, il padre non è più che un’inquietante presenza silenziosa); un’incomunicabilità fortemente connotata, quasi antonionianamente, dai lunghi e dilata(n)ti attraversamenti spaziali (i frequentissimi campi lunghi on the road) e da uno sbalestrante senso di sur-place temporale, inquadrature “vuote”, controcampi “differiti”, tempi straordinariamente morti.