Horror, Recensione, Sala

OCCHIALI NERI

TRAMA

Roma: un serial killer uccide le prostitute ma Diana, una escort di lusso, riesce a sfuggirgli. Durante la fuga, però, ha un incidente d’auto a causa del quale perde la vista.

RECENSIONI

A Dario Argento vogliamo tutti bene, non foss’altro perché, tra altissimi e bassissimi, ha portato avanti con pervicacia, eroico e sostanzialmente solitario, una precisa idea di cinema (non solo) italiano. Cinema gratuito e crudele, purovisibilista e folle, interessato solo a se stesso e disinteressato al resto, fuori dal tempo e forse dal mondo, fatto di sequenze memorabili coreografate con inventiva, luci espressioniste e antinaturaliste, geometrie, simmetrie, piani sequenza e virtuosismi autosufficienti. La storia, l’intreccio, i dialoghi, la direzione degli attori? Zavorre necessarie quanto inutili, pratiche da sbrigare, condizioni necessarie ma insufficienti, da trattare con una (in)sufficienza tale da diventare essa stessa una regola fondamentale del gioco argentiano. Un gioco, oltretutto, diretto, artigianale, pragmatico, del tutto scevro degli svolazzi pindarici dei suoi solo teorici omologhi (De Palma, solo per dirne uno, anzi, L’UNO). Quando Maiello, nel suo libro-intervista dedicato al nostro, prova a trascinarlo nel territorio della seduzione teorica, Argento risponde sempre picche: “Il falso rasoio di Tenebre rappresenta l’inganno del Cinema?” – “No, è solo un congegno ben costruito”; Interrogato sul presunto accanimento sull’occhio inteso come sguardo, in Opera, Argento risponde “sinceramente, non credo di aver pensato una cosa simile. Pensavo soltanto a rendere imprevedibile e devastante l’effetto di certe scene”. E così via. Un grande artigiano, cinefilo e innamorato del cinema (non è la stessa cosa), a suo modo ingenuo (in senso assolutamente buono).

È sempre stato così, ci è sempre andato bene così. O quasi. Perché Occhiali Neri arriva 10 anni dopo Dracula 3D, di fronte al quale era difficile nascondere un po’ di imbarazzo, ma dista più di 20 anni dall’ultimo film sbilenco ma interessante (rectius: con belle sequenze da ricordare), Non Ho Sonno. Dispiace, tanto, doverlo constatare ma il resto della sua produzione più recente – dove per “più recente” si potrebbe intendere “degli ultimi trent’anni” – ci consegna un Dario Argento sempre riconoscibile, e di questo gli va dato atto, ma stanco e ulteriormente sfuocato. Perché il suo cinema è sempre stato quella cosa lì solo che, negli anni, è rimasta quella cosa lì ma viepiù peggio. Ci siamo sempre aggrappati ad atmosfere e sequenze, quando ci sono mancate le atmosfere ci siamo accontentati delle sequenze (tornando a Non Ho Sonno, quella del treno e il long take chiuso dalla testa che rotola sul tappeto), ora non ci è rimasto (quasi) nulla. In Occhiali Neri salviamo volentieri la sequenza iniziale, quella dell’Eclisse, che anche volendo lasciare in pace Antonioni (forse è meglio) ha un taglio decisamente autoriale, argentiano, e sa dotarsi di una sua precisa personalità formale. Ma poi? Dovremmo farci bastare un bosco notturno (fiabesco?) illuminato a giorno come rimando alle luci Suspiria-ne, autocitazioni più o meno palesi (un abito, gli animali) o un paio di morti efferate, con gli effetti di Stivaletti che rimangono sullo schermo più del tempo necessario, fino a diventare effetti? Temo di no. Credo di no.

Perché comunque, per il resto il film è visivamente anonimo, con una sceneggiatura del tutto arbitraria, un villain dall’agire misterioso e/o indecidibile (sembra uccidere un po’ a casaccio ma con la protagonista sviluppa un risaputo legame di rancore/vendetta personale) e con degli scivoloni che inteneriscono, da quanto sono goffamente ridicoli. Gli investigatori della omicidi che chiedono ai dipendenti dell’Hotel “avete notato niente che possa giustificare un omicidio così orribile?”; dopo l’incidente d’auto, si dice “il padre è morto, la madre è in coma e l’unico sopravvissuto è un bambino di 10 anni”; il medico che comunica a Diana la sopraggiunta cecità la saluta dicendole “arrivederla” (e da lì sarà tutto un “vediamoci presto”, “la rivedremo domani”); Rita scopre che l’assassino sta arrivando e dice a Chin “presto, vai a prendere il giacchetto, dobbiamo scappare!” e così via. Come si è già detto, il cinema di Dario Argento è sempre stato (anche) questo, ma sapeva darci anche altro che contestualizzava questo fino a farlo diventare altro. Occhiali Neri, purtroppo, ci dà poco o nulla e, al netto dell’affetto, mi pare rientrare a pieno titolo nella categoria degli indifendibili.